“Il mistero dell’Erebus” di Michael Palin

La passione per lo scenario letterario marino è nata grazie ad autori diventati poi i miei fari: Herman Melville con Moby Dick, Edgar Allan Poe con Manoscritto ritrovato in una bottiglia, Robert L. Stevenson con L’isola del tesoro, Owen Chase con Il Naufragio della Baleniera Essex e potrei continuare ancora e ancora.

Ho un amore immenso per il mare, le navi, le esplorazioni, le terre ignote e in generale per l’uomo che affronta la Natura selvaggia.

Quando ho saputo che Neri Pozza avrebbe pubblicato “Il mistero dell’Erebus” di Michael Palin la mia gioia è arrivata alle stelle.

Ho conosciuto la storia delle navi Erebus e Terror attraverso il romanzo “horror-storico” di Dan Simmons, The Terror (edito Mondadori), e la sua successiva e incantevole trasposizione cinematografica.

Dan Simmons pur romanzando la storia delle navi e del suo equipaggio, inserendo un terrificante mostro dalle fattezze di un gigantesco orso polare e inuit con poteri esoterici, aveva utilizzato una base dettagliatamente storica, sia come avvenimenti che come personaggi.

Ero rimasto completamente incantato. A rubarmi la mente fu l’aurea di mistero che si celava dietro la loro scomparsa. Nel 1846 la Erebus insieme alla nave Terror e 129 uomini svanirono dalla faccia della Terra nel tentativo di localizzare il Passaggio a Nord-Ovest. La perdita più grande di tutta la storia delle esplorazioni polari britanniche.

In questo articolo provo a raccontare la loro storia (ovviamente cercando di trarne il fulcro), basandomi sul libro, non romanzato ma saldo sulle sue fonti certe, “Il mistero dell’Erebus” di Michael Palin (edito Neri Pozza, anno 2020), scritto successivamente al rinvenimento del relitto dell’Erebus, avvenuto nel 2014, dopo quasi 170 anni dallo sua scomparsa. E vorrei appunto partire da lì…

Modello dell’Erebus

2 settembre 2014. Nella Baia di Wilmot e Crampton, Nunavut (Canada), lungo la costa di un’isola piatta nell’Artico canadese, la barca “Investigator” con un towfish ancorato (congegno acustico che invia e riceve onde sonore) rilevò la presenza di qualcosa di molto grande sul fondale. Ryan Harris, archeologo marino, guardando lo schermo restò esterrefatto. C’era uno scafo di legno con la poppa sfondata come se fosse stata morsicata, le travi del ponte scoperte e rivestite da uno strato lanoso di vegetazione acquatica.

Era una nave. La Erebus.

Talmente vicina alla superficie che probabilmente i due alberi più alti, un tempo, dovevano sbucare fuori.

Sembra un pesce mezzo sfilettato.

Il relitto era stato perfettamente conservato dal ghiaccio, come se fosse stato sigillato. Si intravedevano ancora i bauli dei marinai, la cucina in perfetto stato, così come l’infermeria a prua.

7 giugno 1823, Pembroke, Galles. Era stata appena inaugurata la Zoological Society di Londra, c’era grande fermento; gli esploratori britannici arrivavano in qualsiasi parte del globo e immense erano le imprese ingegneristiche. Ma a Pembroke si celebrava qualcosa di più modesto: la Erebus toccava per la prima volta le acque di Milford Haven. Una nave da guerra dallo scafo ampio e possente.

Nella mitologia classica, Erebo, figlio di Caos, è identificato con il cuore oscuro degli Inferi, un terribile messaggero di fuoco infernale.

La HMS Erebus era stata la penultima nave da guerra del tipo denominato “bombarda” e il suo destino era incerto. A seguito della sconfitta di Napoleone, gli uomini della Royal Navy passarono da 145mila a 19mila unità, poiché si era in tempo di pace, e un così grande schieramento di uomini era ormai inutile. Però si temeva che Napoleone potesse fuggire dal suo esilio a Sant’Elena e tornare, motivo per cui si costruivano ancora navi da guerra.

Fu progettata da Sir Henry Peake; 327 tonnellate e grande 104 piedi, meno della metà di una caravella, ma più resistente. Fu costruita quasi interamente a mano e costò l’equivalente oggi di circa 1,25 milioni di sterline. Fu armata con due mortai, otto cannoni da 24 libbre e due da sei libbre. Vennero messi tre alberi e sopra ponte l’albero di maestra, alto 140 piedi.

Per 18 mesi restò in ordinary, ovvero non impiegata, e soltanto il 21 febbraio 1828 cominciò il suo servizio. George Haye fu il primo comandante della Erebus e tutto quello che dovette fare fu mostrare la bandiera, ricordare a tutti la supremazia navale inglese. Fece un viaggio quasi “crocieristico” arrivando anche in Italia, salutando le coste della Sicilia e Capri. Il 26 giugno 1830 tornò a Portsmouth.

La Marina inglese, vivendo un periodo di pace, divenne più specializzata e le navi potevano essere utilizzate per le esplorazioni geografiche. Joseph Banks fu l’animatore di tutto, indirizzando la Marina in questo senso; era un genio dalle conoscenze enciclopediche e rappresentava l’incarnazione dell’Illuminismo. Banks donò all’umanità mappe di angoli del pianeta fino ad allora sconosciuti.

Altro fautore fu John Barrow, un funzionario statale pieno di ambizioni. Entrambi formarono un circolo di scienziati e navigatori per classificare registrare ed etichettare il pianeta dal punto di vista geografico, naturalistico, zoologico e botanico.

Barrow aveva un grande obiettivo: scoprire a nord-ovest un passaggio che collegava l’Oceano Atlantico e il Pacifico. In questo modo la Gran Bretagna avrebbe ricavato numerosi vantaggi, poiché i viaggi verso Oriente sarebbero stati più brevi, evitando di passare quindi per Capo Horn dove c’era la costante presenza di navi spagnole e portoghesi.

Vennero fatte più spedizioni per trovare il passaggio a Nord-Ovest, e in una di queste James Clark Ross (esploratore e navigatore britannico) scoprì il Polo Nord Magnetico nella Boothia, una penisola del Canada settentrionale.

Sir James Clark Ross

Ma la prima grande spedizione dell’HMS Erebus non fu a Nord-Ovest per trovare il famigerato passaggio, ma al Sud, in Antartide. E in questo viaggio non fu da sola, le fu affiancata un’altra nave simile, la Terror.

Sulle due navi salirono due figure di spicco, abituati a tenere diari dettagliati delle rispettive avventure: Robert McCormick (esploratore e naturalista, viaggiò sul Beagle con Darwin) e Joseph Dalton Hooker (figlio di Joseph Dalton Hooker, uno dei più grandi botanici del XIX secolo) che a 13 anni era già un botanico ossessivo in grado di recitare lunghi elenchi di nomi latini.

James Clark Ross pur essendo il comandante della spedizione, era obbligato a seguire una serie di istruzioni provenienti dall’Ammiragliato. La priorità dell’Erebus, infatti, era visitare i luoghi che avrebbero permesso la misurazione del magnetismo terrestre, poi il lavoro avrebbe riguardato la registrazione dettagliata delle correnti oceaniche, delle profondità marine, delle maree, dei venti e dell’attività vulcanica. Altri studi concernevano la meteorologia, la geologia, la mineralogia, la fisiologia vegetale e animale e la botanica.

L’unica cosa che non doveva fare la Erebus era quello per cui era stata costruita: la guerra. L’equipaggiamento da guerra infatti era stato eliminato e rimpiazzato con uno idoneo alla realizzazione di scoperte scientifiche.

La Erebus e la Terror partirono nel settembre 1839, dai cantieri navali di Chatham, e il 31gennaio gettarono l’ancora all’isola di Sant’Elena, il luogo di prigionia più sicuro al mondo (dove Napoleone morì), per poi dirigersi verso le Isole Kerguelen, nel cuore dell’Oceano Indiano. Qui, nella pagina di diario di McCormick, 8 maggio 1840, c’è la triste storia della morte del gallo Old Tom caricato a bordo insieme a una gallina allo scopo di colonizzare l’isola a cui erano approdati, perché uno degli scopi della missione era diffondere nuove specie su isole remote. Venne fatta una vera sepoltura da marinaio, consegnandolo alle profondità dell’oceano.

Passando per Hobart (capitale della Tasmania), la Erebus e la Terror si avvicinavano sempre di più a quel luogo remoto glaciale e, se tutto fosse andato bene, James Ross avrebbe compiuto un’impresa straordinaria: conficcare una bandiera britannica al Polo Sud magnetico, come aveva fatto dieci anni prima al Polo Nord magnetico.

Faceva sempre più freddo e i gli iceberg crescevano a vista d’occhio. Dai diari di viaggio si legge che il mare era pieno di balene, soprattutto capodogli e megattere. Balene di dimensioni straordinarie, così tante da non riuscire a contarle e così docili da poter veleggiar loro accanto (oggi la vista di una balena è già un trionfo).

Il 5 gennaio 1841 si ritrovarono lungo il bordo del pack e questo rappresentava la prima grande prova dell’abilità di quelle ex bombarde di farsi strada attraverso blocchi di ghiaccio compatto senza un motore ad aiutarle.

In certi punti subimmo degli urti violenti, che navi meno corazzate non avrebbero potuto sopportare.

La Erebus e la Terror superarono 134 miglia di pack e uscirono dall’altra parte, nel mare aperto. Il comandante Ross aveva condotto le sue navi verso l’ignoto e non esisteva un piano B nel caso in cui il ghiaccio li avesse intrappolati o schiacciati.

In questi luoghi che sembrano appartenere a qualche altro pianeta, l’equipaggio delle navi ebbe dei miraggi, come se fosse nel deserto. Il cosiddetto fenomeno dell’iceblink, in cui a causa della rifrazione della luce le nuvole e il cielo possono apparire come oggetti fisici e solidi.

Raggiunsero la terra, finalmente il continente antartico, e fu lo spettacolo più straordinario a cui avessero mai assistito.

Due catene montuose… i ghiacciai che riempivano le vallate tra l’una e l’altra e scendevano quasi dalle cime dei monti, si allungavano in molti punti e per parecchie miglia nel mare… il cielo era di un azzurro limpidissimo e il sole brillava accecante…

12 gennaio 1841. A causa del vento, approdarono presso un isolotto. Piantarono la bandiera e brindarono alla salute della regina Vittoria, del principe Alberto e della loro più recente acquisizione, l’isola di Possession. Durante i festeggiamenti, i pinguini si ribellarono e li attaccarono ferendoli con i becchi acuminati. Non avevano mai visto un essere umano.

Ogni miglio nautico, ogni apertura tra le nuvole portava con sé qualcosa che nessuno sulla Terra aveva mai visto prima. Il clima si faceva sempre più aspro, le temperature erano ulteriormente scese; dal sartiame e dall’equipaggiamento pendevano ghiaccioli.

Sabato 23 gennaio 1841 raggiunsero il punto “più a sud di quanto si sia mai spinto un essere umano conosciuto”, 74°23’S.

Le meraviglie si susseguirono. Incontrarono un vulcano attivo alto 12.500 piedi (il Monte Erebus)…

Uno spettacolo che sorpassa qualsiasi altra cosa immaginabile… e che ci ha precipitati tutti in un profondo stupore, al pensiero della nostra insignificanza e inferiorità, e al tempo stesso ci ha infuso l’indescrivibile consapevolezza della grandezza del Creatore e delle sue opere.

… e la Grande Barriera Australe (parete di ghiaccio antartico alta 200 piedi e grande quanto la Francia) che rappresentava l’ostacolo che escludeva la possibilità di spingersi fino al Polo Sud magnetico. Soltanto il secolo successivo la spedizione di Shackleton, a bordo della Nimrod, sarebbe riuscita a far di meglio.

Se la spedizione sembrava, tutto sommato, proseguire a “gonfie vele” nonostante una perdita umana e varie peripezie tra tormente e mare mosso, durante la seconda stagione in Antartide (infatti le navi erano tornate in Tasmania per poi ritentare sperando in una strada nella Grande Barriera Australe), il 17 gennaio 1842 una violentissima burrasca terrorizzò l’intero equipaggio che arrivò al punto di pensare che non ce l’avrebbero fatta. Il vento spinse ripetutamente le navi sul pack acuminato provocando danni importanti alle navi tra cui la rottura del timone della Terror. Restarono incastrati nel pack per 47 giorni, a riparare le navi.

Come se non bastasse, il 13 marzo, le notti lunghe resero difficoltosa la vista degli iceberg e la Erebus si schiantò proprio contro uno di essi. E la Terror non riuscendo a fermarsi si schiantò a sua volta sulla Erebus. Si districarono con enorme difficoltà e per “provvidenza divina” riuscirono a disincagliarsi e a ritrovare un pezzo di mare libero.

“L’HMS Erebus attraversa la catena di iceberg», 13 marzo 1842, di John Davis.”

Anche la terza ricognizione in Antartide, settembre 1842, fu sfortunata. Una serie infinita di burrasche e il ghiaccio che si chiudeva intorno a loro, resero impossibile trovare un passaggio e il comandante Ross issò la bandiera rossa, il segnale per la Terror che il terzo e ultimo viaggio in Antartide era arrivato alla fine.

Nonostante il Polo Sud magnetico non venne raggiunto, il viaggio in Antartide rappresentò una grandissima vittoria e un successo per l’Inghilterra e in generale per le esplorazioni geografiche e per la scoperta di nuove terre e forme di vita, sia animale che vegetale.

E appunto il fermento della spedizione fece riemergere l’attenzione per il completamento del passaggio a Nord Ovest, il passaggio tra Oceano Atlantico e Pacifico. Vari e vani erano stati tutti i tentativi.

Nel 1844 anche la Russia era interessata a questa scoperta e l’Inghilterra, dopo tutti gli sforzi umani ed economici, non voleva cedere il primato; doveva confermare la sua grandezza sia in tempo di pace che di guerra. Barrow, il finanziatore della spedizione in Antartide volle finanziare anche questa nuova spedizione.

La Erebus, sotto il comando di Sir John Franklin, e la Terror, sotto quello di Francis Crozier, partirono per il Nord, alle 10.30 del mattino del 19 maggio 1845. Sulle navi c’erano 24 ufficiali, 110 uomini, una scimmia, un cane Terranova e un gatto.

Il 26 luglio furono avvistate per l’ultima volta presso la baia di Baffin. In genere si ritiene che questo sia stato l’ultimo avvistamento ufficiale della spedizione, a eccezione per quelli riferiti dagli inuit.

Dopo giorni di sparizione e nessuna lettera mandata ai famigliari e all’Ammiragliato, James Clark Ross (comandante della spedizione in Antartide e rimasto in Inghilterra a causa della sua avanzata età) dovette fare la cosa più onorevole, rimettersi in mare per cercare l’Erebus e la Terror. Vennero fatti dei ritrovamenti sull’isola di Beechey, tre lapidi e segni di slitta. Qualche giorno dopo vennero rinvenuti anche due pezzi del relitto.

Dopo 8 anni di ricerche, l’Ammiragliato smise di finanziare la ricerca, perché ormai impossibile trovare gli equipaggi vivi.

Nel 1854 da un incontro con gli inuit emerse che quattro inverni prima avevano visto uomini con una slitta che trascinavano una barca e che molti di loro erano mutilati. Gli inuit fecero intendere che gli uomini avevano fatto ricorso all’estrema e spaventosa risorsa: il cannibalismo.

A tale scandalo fece sentire la sua voce anche Charles Dickens che sul suo settimanale Household Words si lanciò in difesa degli uomini della marina inglese dicendo che non era possibile che avessero ricorso al cannibalismo.

Durante ulteriori spedizioni di ricerca, furono rinvenuti la slitta e la barca che stavano trasportando, con ossa umane all’interno e vari oggetti, tra cui il romanzo “Il vicario di Wakefield” di Oliver Goldsmith. Le navi però non vennero mai travate. Nulla più si è saputo di loro.

“Non qui: nel bianco nord giacciono le tue ossa;

e tu, anima eroica di marinaio,

hai intrapreso un viaggio più felice,

verso un polo che non è di questa terra.”

Varie ipotesi e leggende hanno vorticato intorno al mistero della scomparsa dell’Erebus e della Terror, ma soprattutto del loro equipaggio. Tra le varie congetture di questa precoce scomparsa vi è quella delle scatolette di cibo avvelenate. Di fatto, per questa nuova spedizione era stato incaricato un nuovo fornitore che dovette preparare il tutto in fretta e furia, non sigillando bene le scatolette. Le analisi effettuate sui capelli dei tre corpi rinvenuti hanno evidenziato alti livelli di piombo.

Inoltre, recenti test del DNA sulle ossa hanno rilevato la mancanza del cromosoma Y: donne arruolatesi di nascosto? o semplicemente cromosoma che dopo anni non è più rilevabile?

Negli anni 80 del 900, l’antropologo Owen Beattie (Margaret Atwood scrisse la prefazione al suo libro) cominciò un’analisi accuratissima dell’isola di re Guglielmo e riportò alla luce femori con tracce di coltello che suggerivano cannibalismo e frammenti di osso che indicavano che i teschi erano stati deliberatamente sfondati. Riesumò anche i tre corpi messi nelle bare nel 1846, perfettamente intatti. Sul torace di uno dei tre c’era una Y, e ciò indicava che su quel corpo era stata fatta un’autopsia; tale scoperta riaprì il dibattito del cibo avvelenato.

“Il cadavere di John Torrington, esumato da Owen Beattie nel 1984.”

Soltanto il 2 settembre 2014, grazie a una spedizione iper tecnologica (robot marini e sottomarini) venne rinvenuta la Erebus. Il 3 settembre di due anni dopo, fu scoperto anche il relitto della Terror, a 50 km di distanza da quello della Erebus.

Quello che hanno dovuto affrontare gli uomini delle due navi, resterà per sempre un mistero. Sappiamo soltanto che non c’è stato nulla di buono; tra lapidi innalzate in mezzo al nulla ghiacciato, fogli di pergamena lasciati al sicuro nella speranza di esser d’aiuto per chi era sulle loro tracce, crani volontariamente fracassati non si sa per quale diavoleria.

Questa è, riassunta ai minimi termini, la storia delle ormai leggendarie Erebus e Terror. Talmente incise nel firmamento delle spedizioni e dei misteri che anche Jules Verne le nominò nel suo Ventimila leghe sotto i mari.

Non avrò sicuramente reso degno e imperituro ricordo alla loro storia, ma vi assicuro che Michael Palin ha saputo far di meglio nelle sue quasi 500 pagine, trasmettendo l’incanto della scoperta di nuove terre, di nuovi esseri viventi e di nuove tappe del cuore.

Io ho viaggiato insieme a loro, ho vissuto le loro spedizioni e il loro entusiasmo. Mi sono talmente immerso da sentire il gelo sulle mani e vedere i cristalli di ghiaccio pendere dal sartiame. Ho provato una morsa al cuore nel leggere del loro destino e al pensiero di dover ricorrere all’estrema e spaventosa risorsa.

Io vi consiglio di salire a bordo e di viaggiare fino all’estremità del pianeta, nella calda sicurezza delle parole scritte.

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Comments 5
  1. Bellissimo articolo. Sei sempre di grande ispirazione per nuove letture, libro aggiunto alla lista ( anzi due non avendo ancora letto The Terror)

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