“L’assemblea degli animali” di Filelfo

Prima di leggere “L’assemblea degli animali” di Filelfo, mi sono imbattuto in una recensione di una lettrice che diceva, suppergiù, “non bastava il Covid, adesso anche un libro su quanto sono bravi e belli gli animali, una storia piena di buonismo. Basta”. Era dicembre e ancora ripenso a questo commento. Non saprei dire se mi ha fatto rabbia o semplicemente mi ha dato modo di riflettere in uno spettro più ampio. Forse entrambe le cose.

Ancora una volta non siamo capaci di assumerci le nostre responsabilità. Ancora una volta l’Uomo si pone al di sopra di tutto, essere intoccabile. Se c’è del dolore da affrontare, siamo troppo impegnati a viverlo, a chiederci “perché proprio a me?”, non vogliamo assolutamente concepire che quel male che proviamo è generato da noi stessi. È inconcepibile pensare di autoinfliggersi dolore. Perché dovremmo?

Non è semplice accettarlo, nonostante abbiamo tutte le prove. Tutte le evidenze. Il Covid-19 è uno dei tanti virus che ha potuto diffondersi a livello planetario a causa dell’essere umano. Il Covid-19 non è una fatalità, una punizione divina. È il risultato di tante azioni spregiudicate dell’uomo. Il saggio “Spillover” di David Quammen spiega perfettamente tutto quello che è successo, nonostante sia un libro del 2009.

Tutti gli animali si sono riuniti in un’assemblea. Ci sono i rappresentanti dei due regni; il leone per il regno del suolo, l’aquila per il regno dell’aria. E anche la balena, che non solo rappresenta l’elemento che contraddistingue il pianeta Terra, l’acqua (il terzo regno), ma è anche l’anima del Mondo, lei che è saggia e può fungere da vera mediatrice durante l’assemblea.

Sono stanchi, stufi, estinti o sulla via dell’estinzione. Non ce la fanno più. Rivogliono indietro la loro tranquillità, i loro habitat, le loro foreste, i loro mari e oceani. Devono giungere a una risoluzione del problema, a un accordo comune per evitare il loro declino.

Una guerra? Uno sterminio degli umani? No, decidono che la soluzione migliore è farli soffrire fino a una confessione. Gli animali vogliono che l’uomo confessi le proprie colpe.

Giungono a questa conclusione, molto dibattuta, presa dopo aver ascoltato varie testimonianze. Come quella del Koala, ancora con la pelle bruciata dall’incendio delle foreste australiane, che racconta la sua storia, la perdita della sua famiglia. O dell’orso polare che ha appena lasciato la sua erosa zattera di ghiaccio, costretto a morire di fame e alla sconfinata solitudine. Dell’orango scacciato dalla foresta pluviale ormai diventata un palmeto per opera dell’uomo.

Scelgono il pipistrello, l’animale che unisce i due regni, dell’aria e del suolo. Il pipistrello, che ospita nel suo corpo il virus, morde un pangolino appena catturato da un bambino, ora accovacciato su una carovana insieme ad  un maiale. È in questo istante che avviene lo spillover, la tracimazione; il momento in cui il patogeno (agente biologico responsabile dell’insorgenza della condizione di malattia nell’organismo ospite) passa da una specie a un’altra. Se prima da animale ad animale, adesso si fa il salto di specie. Da animale a uomo.

Adamo ed Eva non furono scacciati dal Paradiso Terrestre perché avevano mangiato il frutto dall’albero della conoscenza, mela fico o melagrana che sia, che li costrinse a conoscere il segreto del bene e del male, per questo il castigo divino. Come potrebbe, la conoscenza, essere una colpa? Ma furono condannati non alla conoscenza, ma alla dimenticanza dopo aver bevuto l’acqua del fiume Lete. Un’acqua che non può essere contenuta in nessun vaso e dalla quale gli animali se ne erano tenuti alla larga. Dopo averla bevuta, Adamo ed Eva persero la nozione del loro stato e iniziarono a considerarsi umani, ossia animali che però sono altro dagli animali.

Persero il ricordo del linguaggio della Natura, delle sue regole, delle sue maniere, dei suoi divieti, delle sue connessioni, delle sue rotte, dei suoi indirizzi segreti, e non possedendo né memoria né prescienza non conosceva le conseguenze remote dei suoi atti.

La pandemia ci ha fatto conoscere la solitudine e ne abbiamo avuto paura, perché abbiamo paura di noi stessi. Abbiamo rispolverato le biciclette, riscoperto le passeggiate, magari nella villa vicino casa mai esplorata prima di allora. Gli animali, quasi come fantasmi, sono usciti fuori dai loro nascondigli per abitare le nostre strade, dai sanpietrini ciuffi di erba rigogliosa, l’aria stranamente più respirabile. I delfini si sono avvicinati ai porti, affacciati alla banchisa domandandosi cosa fossa quella serenità e quelle acque marine limpide e vitali.

C’è speranza? C’era speranza? Ora a più di un anno dalla pandemia, c’è ancora speranza?

Al Mondo esistono anche i Giusti, uomini retti che sorreggono l’Universo, detti anche i “Nascosti” perché “vivono sperduti, anonimi, e non si riconoscono né sono consapevoli della funzione che esercitano”. Troppo umili per credere di esserlo. Sono esseri umani semplici, può esserlo ognuno di noi. Esseri umani che stanno salvando la Terra.

Da molto prima della grande quarantena le anime degli uomini erano malate. Ma non sembravano accorgersi che la loro depressione era dovuta alla distruzione della Terra. Ora l’epidemia, la morte, lo svuotarsi del mondo che li circondava avevano fatto risorgere la memoria dell’arca che era in loro e li avevano ricongiunti alla grande anima in cui ogni animale è immerso.

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