“Le foreste del Maine. Chesuncook” di Henry David Thoreau

La nostra vita dovrebbe essere vissuta con la tenerezza e la delicatezza con cui si coglie un fiore.

Leggere Henry David Thoreau ha sempre un effetto benefico su di me. Ogni volta so che nei suoi libri troverò ampi spazi dove respirare, laghi cristallini circondati da pini così alti da avere capogiri nel guardarli, animali delle foreste che appaiono tra i tronchi degli alberi per poi scomparire come fantasmi. So anche che tra le magnifiche descrizioni troverò il cuore dell’autore, reso esplicito dalle sue riflessioni. Questa è proprio una caratteristica dell’opera thoreauviana, un genere letteraio “ibrido” in cui riescono a coesistere due principi strutturali: la scrupolosa, minuta osservazione oggettiva, da un lato, l’espressione puramente soggettiva di pensieri, sensazioni, riflessioni, dall’altro.

Altra caratteristica dell’opera di Thoreau è la struttura diaristica – a eccezione di Walden – e la sua capacità di rivolgersi al lettore come a un compagno di viaggio. Questo suo modo di raccontare ci permette di vivere un’esperienza unica, come se fossimo partiti in viaggio con lui, e passo dopo passo siamo partecipi del suo percorso di scoperta. Ed è così che ci ritroviamo a passeggiare in “Le foreste del Maine”, verso il lago Chesuncook, insieme a Thoreau, l’indiano Joe, e pochi altri compagni di viaggio.

Suonerà strano a dirsi, ma Thoreau non ha viaggiato tantissimo, non si allontanava quasi mai dalla sua Concord, nel Massachusetts. Infatti, una delle sue citazioni, ormai iconica, è: “ho viaggiato moltissimo a Concord”. Con questo Thoreau ha provato a spiegare che tutto quello che aveva imparato proveniva dal conoscere in modo approfondito il proprio territorio, che è quello che tutti dovremmo fare. Prima di imbarcarci per porti lontani, dovremmo conoscere il più possibile il nostro ambiente, il luogo dove abitiamo e i dintorni. L’unico viaggio davvero lontano che dovremmo intraprendere, invece, è quello dentro di noi, un viaggio metaforico, un’esplorazione intesa come analisi introspettiva.

Henry David Thoreau compì tre escursioni nel Maine, rispettivamente nel 1846, 1853 e 1857. I resoconti di questi viaggi costituiscono le tre parti di cui si compone “Le foreste del Maine”, ossia Ktaadn, Chesuncook e The Akkegash and East Branch. Questa sua opera è considerata come il libro “western” di Thoreau, perché il Maine pur essendo relativamente vicino ai suoi luoghi, è considerato come una frontiera wilderness che racchiude in sé elementi di grande fascino: indiani, l’alce e le sconfinate foreste di pino bianco. L’edizione che ho io e che ho proposto per il mio gruppo di lettura NaturaLibri contiene soltanto il secondo viaggio, Chesuncook.

Thoreau si imbarca su un battello che da Boston lo porta a Bangor, nel settembre del 1853; la destinazione finale è il lago di Chesuncook. I tre viaggi fatti nel Maine sono piuttosto limitati nel tempo, durano al massimo alcune settimane, ma sono sempre vissuti da Thoreau in maniera intensissima, sia dal punto di vista fisico che emotivo. Parte in compagnia del cugino George Thatcher, conoscitore del territorio ed esperto cacciatore, e di Joe Aitteon, una guida indiana assoldata per l’escursione.

È strano che siano così rari coloro che si addentrano nei boschi per osservare come il pino vive e cresce e si allunga a spirale, protendendo alla luce i suoi rami sempreverdi – per godere del suo completo trionfo; quasi tutti si accontentano di ammirarlo sotto forma di grandi tavole comprate al mercato, e ritengono che quella sia la cosa giusta da fare!

Le descrizioni che Thoreau fa dei paesaggi sono di una perfezione unica, così precise da riuscire a farci immaginare quegli scenari come se fossero davanti ai nostri occhi. È assolutamente commovente. Le riflessioni che accompagnano le descrizioni sono un peso specifico che le rende imperiture e straordinariamente attuali. Durante il viaggio c’è un evento che scuote la coscienza di Thoreau, e che rappresenta il climax del libro: l’uccisione di un alce, simbolo della wilderness – natura selvaggia, incontaminata – di quei luoghi. L’uccisione porta alla riflessione sulla rapida distruzione della wilderness da parte dell’uomo civilizzato, per soddisfare esigenze di ordine economico dettate più da un’avidità insaziabile che da bisogni reali. Addomesticare la Natura, sottometterla al nostro volere implica l’espropriazione del diritto primario alla vita.

Come in ogni sua opera, Thoreau riesce a trovare un compromesso per un “uso legittimo” della wilderness. L’autore infatti non ha mai rifiutato alcune comodità della civilizzazione, ma ha intrapreso frequenti incursioni nella natura selvaggia, ritenendole necessarie per riequilibrarsi interiormente, per poter soddisfare esigenze di carattere sia estetico che spirituale. Il benessere è quindi rappresentato dall’equilibrio, dal rapporto armonico e dialettico tra le due condizioni.

Ma non si potrebbe, mi domando, trascorrere qualche settimana, o anche un anno, nella solitudine di questa immensa distesa selvaggia con un’occupazione diversa – un’occupazione perfettamente piacevole, e innocente e nobilitante? Per uno che viene con la matita per disegnare o per descrivere, mille vengono con l’ascia o col fucile.

“Le foreste del Maine” rappresenta un libro cult che ha avuto all’epoca un enorme successo in America, e continua ad averlo grazie al suo essere attuale. Per tutti noi lettori che vorremmo vivere con lo zaino in spalla, andare in luoghi incontaminati e godere della bellezza estrema, Thoreau è imprescindibile. Ma soprattutto per chi non smette mai di viaggiare dentro di sé e continua a esplorare ed esplorarsi.

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Comments 2
  1. “la scrupolosa, minuta osservazione oggettiva, da un lato, l’espressione puramente soggettiva di pensieri, sensazioni, riflessioni, dall’altro.”

    Tanto ormai lo sai quanto adoro leggere i tuoi articoli e sai anche che Thoreau lo hai portato tu tra le mie letture e riflessioni…
    A questo punto devo solo leggere Walden ma in un momento speciale.

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