“Le transizioni” di Pajtim Statovci

Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata, possiamo ricomporci come un nuovo puzzle. Però bisogna essere preparati. Per vivere innumerevoli vite, devi essere in grado di coprire le menzogne con altre menzogne per evitare il maelstrom che si scatenerebbe se venissi scoperto.

Siamo in Albania, a Tirana, durante i primi anni ’90. Le piramidi finanziarie sono crollate, il popolo è in rivolta, si contano migliaia di morti. Gli albanesi emigrano in massa, molti vanno in Italia. Nei porti le donne spariscono, ma nessuno se ne accorge; altre vengono vendute, probabilmente dopo essere state stuprate. In mare anche si sparisce, si viaggia di notte; c’è soltanto buio e il rumore del mare e di migliaia di respiri quasi sincronizzati.

Bujar è un giovane ragazzo che vive a Tirana con la sorella e i genitori. La sua famiglia è stata colpita dalla crisi, come quasi tutte le famiglie dell’Albania. Ma ad aggravare la situazione è la morte del padre di Bujar, che sconvolge l’anima famigliare. La madre non regge la perdita, si mette al letto e resta lì, senza mai alzarsi, senza mangiare; si chiude in una depressione nera come il mare navigato dagli emigranti. I vicini portano da mangiare a Bujar e alla sorella, e quando questo non accade sono costretti a scendere in strada e raccogliere gli avanzi nei bidoni dell’immondizia, tra le pieghe dei marciapiedi.

Nella stessa palazzina di Bujar, abita un suo coetaneo: Agim. Stringono subito amicizia. Agim ha una particolarità, prova un certo piacere nell’indossare i vestiti della mamma e le scarpe col tacco. Bujar e Agim ridono, scherzano insieme, creano un bolla di felicità dove respirare. Ma un giorno Agim viene scoperto dalla madre con indosso i suoi vestiti. Lo umilia e dice tutto al padre. Agim viene percosso fino a restare senza fiato. E’ omosessuale, il peccato più grande che possa esistere.

Non sarebbe meglio se potessimo vivere tutti come se i generi non esistessero affatto? Non sarebbe meglio concentrarsi sull’essere unici invece che sull’essere uomo o donna?

Agim è sconvolto, non vuole più stare a casa, così propone a Bujar di fuggire, di andare via, il più lontano possibile. Gli propone di farsi una vita nuova, di prendere il largo come gli altri emigranti, di affrontare l’oscurità del mare e della notte. Bujar accetta. Come Agim, non ha nessuna ragione per restare. Rubano i soldi che hanno in casa, riempiono buste con vestiti e fuggono via senza dir nulla. L’unico pensiero di Bujar va alla sorella, e nella sua mente la immagina camminare da sola per le vie di Tirana, un furgone con un uomo alla guida che la osserva, accosta il veicolo per rapirla e…

Lasciano quel cancro di città per andare nella vicina Durazzo, una città portuale. Patiscono insieme tutte le tragedie che offre una vita da vagabondi, da mendicanti. Si consolano vicendevolmente, si abbracciano per non sentire freddo, e si procurano piacere facendo l’amore.

La situazione sembra risollevarsi quando finalmente ognuno di loro due trova lavoro. Bujar in un piccolo ristorante e Agim in una lavanderia. Bujar non riesce a capacitarsi di quella fortuna, ormai smagrito fino allo stremo, di colore viola causato dal gelo di quell’inverno. Finalmente può lavarsi, mangiare e occupare le sue giornate con un’attività lavorativa. Il padrone del ristorante sembra un’anima buona, gli dona tutto, anche la vasca di casa sua per un bagno caldo. Il sogno, però, è costretto a disintegrarsi in infiniti pezzi acuminati, taglienti, perforanti, sanguinanti. Mentre è al lavabo a lavare i piatti, il padrone gli si accosta dietro, con il membro eretto. Il primo schiaffo sulla natica di Bujar è l’inizio di una sequela di stupri. Le gambe rigide, le emozioni morte, la testa vuota e dolorante. Non riesce a reagire per mesi.

Questa volta è il turno di Bujar a chiedere ad Agim di fuggire via, prendere questa maledetta imbarcazione per raggiungere un nuovo paese, un’altra vita. Questa volta è il loro turno di navigare al buio, nell’oscurità del mondo, nel nero pece delle loro speranze. Ed è qui che perderemo la dualità Bujar/Agim per seguire soltanto la rotta del protagonista.

Roma, Madrid, Berlino, New York, Helsinki.

Bujar è tutti, ma anche nessuno. Non ha identità. E’ un uomo, ma anche una donna. In una città conduce la vita da uomo, amante delle donne, in un’altra è una donna affascinante, che cammina spigliata su tacchi alti. Bujar non appartiene a nessun posto, ma appartiene a tutti i posti. Non è albanese ma italiano, non è italiano ma americano, non è americano ma albanese italiano tedesco.

E’ un mutaforma. Acquisisce le identità delle persone che incontra e frequenta.

Così Rosa scompare dalla mia vita e il nostro amore svanisce in un istante, una sfortunata serie di eventi e lei, da persona in carne ed ossa, si trasforma in una sequenza di immagini nella mia testa, diventa una storia, un personaggio che posso far comparire quando voglio, estrarla come una carta da un mazzo, accenderla come un canale televisivo.

Non riesce, non ce la fa. Nessun luogo è casa. E’ una continua ricerca di sé stesso. Si cerca in ogni dove, in ogni forma, in ogni vestito, in ogni persona, in ogni storia. Si cerca anche nella morte. E questo sbattere violentemente da un Io a un altro Io comporta anche la continua umiliazione, e il non poter nemmeno denunciare gli abusi e i torti subiti.

…dovrei mostrare i permessi e la carta d’identità… dovrei motivare, spiegare e giustificare che non ho l’obbligo di divulgare il mio sesso a nessuno, che non sono responsabile di quello che la gente pensa di me, ma è una loro costruzione, una loro supposizione. Alla fine, penserebbero tutti che il mostro sono io.

“Le transizioni” di Pajtim Statovci è un libro che urla, scuote e percuote. Non ci sono inibizioni, non ci sono freni. Tutti i dolori vengono vomitati tra le pagine. Si avverte la nausea da mal di mare, il vuoto del senso di non appartenenza, a sé stessi e alla propria terra. La scrittura di Statovci è evocativa, lucida, gelida da bruciare, è carta vetrata sulle ferite. La storia raccontata in queste pagine è pregna di tante cose, di tante riflessioni, e non lascia indifferenti, ti si cuce sul cuore.

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