“Sulle tracce di una rosa perduta” di Andrea di Robilant. “Uno scrittore. Un fiore misterioso. Un viaggio tra storia e giardini”.

Il periodo delle rose è finalmente arrivato. Strade, giardini, cortili, si riempiono di colori e di profumi straordinari. Passeggiando per il mio quartiere romano, ho visto maestose rose banksiae arrampicarsi su muri, case e alberi. Dai cortili generalmente blindati agli occhi, hanno fatto capolino, svettando fiere al di sopra dei muretti, rose dai colori accesi grandi come zucche. È anche il periodo dell’apertura dei cancelli del Roseto Comunale di Roma, unico al mondo per posizione, sulle pendici dell’Aventino vicino a Circo Massimo, che custodisce una collezione di circa 1.100 specie di rose; talmente bello da commuovere.

Anche quest’anno, come per lo scorso, la mia necessità di conoscere “tutto” delle rose si è fatta sentire audace e ho recuperato un libro che avevo trovato qualche mese fa durante le mie solite ricerche. Il titolo in questione è “Sulle tracce di una rosa perduta” di Andrea di Robilant.

Così come dice il sottotitolo, il filo conduttore di questo romanzo che definirei quasi un reportage, è “un fiore misterioso”, una rosa che l’autore ha trovato in un giardino veneziano, ad Alvisopoli: la ‘rosa moceniga’. Antica, profumata di lampone e pesca, di un colore rosa argentato e dai petali così delicati che al solo sfiorarli volano via. È una rosa senza nome, perché nessuno mai è riuscito a identificarla.

In realtà, il rinvenimento della rosa non è avvenuto su un territorio sconosciuto a Robilant, perché la frazione di Alvisopoli fu “creata” dal suo quadrisnonno, Alvise Mocenigo, che a fine ‘700 fece bonificare tutta quell’area paludosa. Dal nome di questo antenato possiamo risalire, quindi, sia al nome di Alvisopoli che alla denominazione alla buona della rosa ‘moceniga’. Ma chi aveva piantato quella rosa nel bosco di Alvisopoli?

Ed è mentre Andrea Robilant consulta alcune carte di famiglia nell’Archivio di Stato a Venezia, che nota un quaderno liso che era scivolato fuori da un faldone. È il diario della quadrisnonna, Lucietta Mocenigo, scritto durante gli anni vissuti a Parigi, alla fine dell’impero napoleonico. Dalla lettura del diario, l’autore scopre una società parigina, di inizio ottocento, ossessionata dalle rose e legge di un’amicizia straordinaria tra Lucietta e, niente di meno, Joséphine, l’imperatrice di Francia, ritirata nel suo castello di Malmaison, da poco divorziata da Napoleone dato che non era riuscita a dargli un erede. Il castello fu la seconda casa di Lucietta che con l’imperatrice condivideva l’amore per le piante, soprattutto per le rose.

Gli appassionati conoscono sicuramente quella che è, probabilmente, la rosa più bella esistente, per eleganza e profumo, la ‘Souvenir de la Malmaison’, e sanno che fu dedicata al ricordo dell’imperatrice e di quel castello magico di Malmaison, luogo di ritrovo dei più grandi botanici, ibridatori, giardinieri e paesaggisti dell’epoca e di dimora di una collezione infinita di roseti provenienti da tutto il mondo. In questo articolo, in cui parlavo del libro “Il romanzo della rosa” di Anna Peyron, potete leggere qualcosa in più su Malmaison.

Lucietta Mocenigo, dopo la morte dell’amica Joséphine, tornò ad Alvisopoli insieme alle tante rose che le erano state donate, tra cui la rosa cinese ‘mocenigo’. Nessuna targa è stata rinvenuta al suo fusto, né esiste una lista, sul diario di Lucietta, che indichi le rose portate con sé. Da questa rosa misteriosa, Andrea Robilant inizia la sua investigazione, per cercarle un nome o una gemella; l’unico indizio che la contraddistingue e che può evitare una sbagliata identificazione è il profumo fruttato, di pesca e lampone.

Le indagini di Robilant sono fonte di notizie per il lettore che coglie qui la possibilità di ripercorrere una piccola parte della storia delle rose per restarne ammaliato, ma la cosa che dà valore supremo al libro – comune a quasi tutti i libri del medesimo stampo – è la possibilità di visitare i giardini sparsi per l’Italia e l’Europa, dove appassionati curano le loro rose antiche come gioielli di una preziosità unica; come ad esempio il giardino friuliano di Eleonora e Valentino, con oltre 1.400 esemplari. È un’esperienza sensoriale, da “Sulle tracce di una rosa perduta” se ne esce inebriati come un bombo che fa il bagno nel polline, sazio e felice.

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