“Isabella Nagg e il vaso di basilico” di Oliver Darkshire

Ho capito che avrei davvero amato questo romanzo quando, durante la lettura, ho scoperto che i goblin in realtà non sono creature, «ma il sottoprodotto di un micelio che tendeva a insinuarsi nei terreni vicini agli insediamenti umanoidi, creando uno strato di ife i cui corpi fruttiferi emergevano nei mesi autunnali sotto forma di goblin». In breve: i goblin sono funghi e la loro società si espande attraverso il commercio della frutta da loro prodotta, che rappresenta le spore. Gli umani mangiano la loro frutta e si infettano.

I goblin nel romanzo sono davvero una trovata brillante, non sono mostri da sconfiggere come in qualsiasi videogioco, ma figure imprenditoriali, truffaldine, assetate di potere e di profitto. Una satira del capitalismo? Probabilmente sì. Non ho voluto scavare troppo, perché ho adorato il romanzo a prescindere da qualsiasi fine superiore.

Isabella Nagg è la vera protagonista, una donna intrappolata in un matrimonio spento e in una vita fatta di lavoro domestico, silenzi e rinunce. Non è assolutamente un’eroina, non ha alcuna missione salvifica da portare a termine né una crescita tipica come quella di tanti altri protagonisti. L’unico legame affettivo autentico che coltiva è con il suo vaso di basilico, che porta con sé fin da prima del matrimonio e a cui parla come a un confidente. Il marito, contadino mediocre e opportunista, vive ossessionato dal denaro, dalla sfortuna che lo perseguita e dalla coltivazione di piante pericolose come la mandragora.

Quando Isabella entra in possesso – a seguito di varie coincidenze – di un grimorio, il Gramaire per Tutti gli Usi, capisce che quello può rappresentare la possibilità di cambiare qualcosa nella propria vita. La magia diviene così uno strumento pratico e non un’arma per definire il proprio destino eroico. Inizia a sperimentare piccoli incantesimi, fa parlare gli animali e tenta di gestire alcuni affari quotidiani, ma i risultati hanno spesso effetti collaterali inattesi.

Ogni elemento introdotto nella storia da Oliver Darkshire ha un ruolo importante: gli esseri fantastici diventano veri catalizzatori narrativi, come ad esempio Grimalkin, il famiglio acquisito di Isabella (una creatura felina ma deformata, coscienza critica e memoria vivente della magia), l’asino di nome Culetto e… il vaso di basilico.

Isabella Nagg e il vaso di basilico è un romanzo molto intelligente, una fiaba storta, piena di ironia e crudeltà, in cui nulla è rassicurante. I goblin, gli stregoni, i grimori e gli animali parlanti sono lì per parlare di potere, dipendenza e sfruttamento. La magia non è nobile, ma pasticciata, piena di errori e compromessi; Isabella è infatti un’antieroina che ha semplicemente scelto di non subire più. Il romanzo è molto divertente, ma di quell’ironia che ti fa dire «mi sa che c’è poco da ridere», un umorismo britannico, a volte crudele, costellato di momenti cupi e disturbanti.

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Che bello scrivere questa recensione proprio in questi giorni di dicembre,