“Attraverso spazi aperti” di Barry Lopez

Libro attraverso spazi aperti Barry Lopez

“Attraverso spazi aperti” di Barry Lopez è stato pubblicato nel 1989, il mio anno di nascita. Ho riflettuto sul fatto che già trentaquattro anni fa i paesaggi naturali stavano cambiando, minacciati dall’uomo e dal suo antropocentrismo, e che determinati spettacoli della natura erano spariti e altri, invece, irrimediabilmente alterati. Già a partire dalla mia generazione, siamo stati privati della serenità e della certezza di poter andare in ambienti naturali e di assistere a eventi ciclici di grande meraviglia, come la migrazione di uccelli o l’arrivo di un branco di balene.

In questo volume sono raccolti quattordici saggi molto brevi, resoconti di viaggi dell’autore, in cui riflette sulla relazione uomo-paesaggio e su quanto possano influenzarsi vicendevolmente. Questo genere di libro entra, a mio avviso, in quel filone di testi naturalistici che uniscono perfettamente il genere memoir a resoconti di viaggio e a trattati scientifici. Penso a Henry David Thoreau, a Wendel Berry, Edward Carpenter, ma anche a Mario Rigoni Stern. Anzi, forse è proprio a quest’ultimo che ho pensato di più perché, in molti suoi scritti, descrive il paesaggio e il suo inesorabile cambiamento che cancella non solo un pezzo di vita naturale ma impoverisce anche la nostra gamma di emozioni.

Uno degli spettacoli naturali più belli descritti da Barry Lopez è sicuramente la sosta delle oche delle nevi, a novembre sul lago Tule, nella California Settentrionale. Oltre al numero di esemplari, che può aggirarsi attorno ai trecentomila, a stupire è la perfetta sincronia dei loro movimenti, leggiadre come ballerine, le oche si levano dall’acqua o scendono in picchiata dal cielo […] A guardare questo spettacolo, dice Barry Lopez, si ha l’impressione che mai nulla potrà mai minacciare i folti stormi, ma l’oca delle nevi, tuttavia, deve affrontare una gran varietà di problemi. Circa il 90% del loro habitat è sparito, assorbito dall’espansione agricola, industriale e urbana, e, in più, i cacciatori californiani ne sterminano ogni anno almeno il 20%, per non parlare degli esemplari che mutilano o di quelli avvelenati dal piombo o che si schiantano sui cavi dell’alta tensione.

Un altro punto su cui Barry Lopez riflette è la sottrazione delle terre ai popoli indigeni che le abitavano. Nei saggi di “Attraverso spazi aperti” si parla degli indiani Modoc, cacciati dai luoghi dove vivevano e avevano imparato a conoscere la flora e la fauna locale e a rispettarla. Nutrivano rispetto per le prede che cacciavano e avevano il senso della misura, a differenza di chi occupava quei luoghi per motivi di espansione urbanistica, o per costruire in quei luoghi campi di prigionia per giapponesi o set per testare congegni nucleari. Si parla anche degli eschimesi dello Yukon-Kuskokwim e della loro capacità di saper convivere con l’ambiente naturale, senza rappresentare una minaccia per gli esseri viventi.

È proprio il concetto di questa relazione virtuosa tra uomo e paesaggio a legare i quattordici articoli, redatti tra il 1978 e il 1988; sia che si parli del Cavallo di pietra costruito oltre trecento anni fa dal popolo Yuma nel deserto di Sonora o di una gita sul fiume Colorado tra i crepacci del Grand Canyon, irrimediabilmente messi a rischio dalla costruzione di una diga che ha modificato il naturale fluire delle acque (una violenza paragonabile allo stupro per brutalità e gratuità); sia che si tratti di un’esplorazione nel mare artico comprensiva di uccisione di una foca per conoscerne le abitudini alimentari. È giusto saziare a ogni costo la nostra naturale sete di conoscenza? Uno degli articoli racconta dello spiaggiamento di oltre quaranta capodogli nell’Oregon, uno scenario trasformatosi in un intreccio fra scienza e spettacolo, tra curiosi, ladri di denti e scienziati pronti a vivisezionarli.

Barry Lopez prova a fornire anche una cura, una soluzione affinché questo rapporto uomo-paesaggio possa esistere senza danni, per salvaguardare i pochi ambienti naturali rimasti. Bisognerebbe riuscire a conoscerli attraverso le riserve di conoscenze che le culture indigene hanno preservato sia nella tradizione orale che attraverso l’esperienza personale con la terra, ma anche difendendo con accanimento i luoghi in cui custodiamo la saggezza culturale che abbiamo acquisito nel tempo, ad esempio le biblioteche. Ogni scuola, di ogni ordine e grado, dovrebbe prevedere nel corpo docente almeno un naturalista, e le case editrici dovrebbero ripubblicare opere di storia naturale, sia contemporanee che meno recenti.

Lopez attraverso questi articoli ci dà la possibilità di viaggiare magicamente negli “spazi aperti” di cui racconta, farci vedere la rete di relazione fra gli elementi che li compongono, provarne nostalgia, ma soprattutto ci fa ragionare su quale effettivamente sia il posto dell’uomo nella natura.

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  1. La frase impoverisce la nostra gamma di emozioni mi ha emozionata…ho subito collegato me stessa, che sono proprio così, impoverita grazie al mio antidepressivo salvavita. Poi ho pensato che nelle classi scolastiche non ci vorrebbe un naturalista, ma un mr. Tannus, professori che nelle loro materie sappiano entusiasmare, basterebbe solo questo. Grazie sempre per le tue parole

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