“Dracul” di Dacre Stoker e J. D. Barker

Che bello scrivere questa recensione proprio in questi giorni di dicembre, quando il buio arriva prima e si iniziano a sentire i primi brividi di questo freddo tardivo. Da sempre affascinato dalla nebbia, dai luoghi abbandonati, dalla pioggia e dalle storie raccontate a lume di candela, ho sempre sognato di vivere in posti dimenticati, immersi nella natura non domata, bellissima nel suo disordine. Subisco il fascino del Nord e mi basta leggere, come in questo caso, di brughiere sferzate dal vento, abbazie diroccate e cimiteri su pendii impervi per andare in estasi. Quel freddo, per me, diventa un luogo caldo e accogliente.

Dracula di Bram Stoker è uno dei miei romanzi preferiti. Ho impressa nella mente l’immagine del Conte che striscia come un animale sulle mura del castello; quante emozioni mi ha donato quel capolavoro della letteratura. Ed è proprio per questo motivo – temendo di rimanere deluso – che avevo inizialmente snobbato, alla sua uscita nel 2018, il prequel Dracul. Scritto, tra l’altro, da un diretto discendente di Bram Stoker, tale Dacre Stoker, il quale, avvalendosi dell’aiuto di J. D. Barker, autore di numerosi thriller, e attingendo a fonti reali legate alla biografia del celebre autore, rende non solo omaggio al classico del 1897, ma ne immagina un inquietante preludio in cui lo stesso Bram è protagonista.

Il romanzo si apre subito con momenti di altissima tensione. Bram è barricato in cima a una torre abbandonata, qualcuno bussa con forza alla porta, un’entità oscura vuole entrare. Per difendersi appende crocifissi e specchi alle pareti, dispone rose davanti all’ingresso, ma queste marciscono all’istante. Il timore di non arrivare all’alba lo spinge a scrivere su un diario tutto ciò che è accaduto fino a quel momento.

Si torna al 1868, in Irlanda, dove un giovane Bram Stoker trascorre l’infanzia confinato in casa a causa di una misteriosa malattia. Ad accudirlo è la criptica e affascinante governante Ellen Crone, l’unica in grado di rimetterlo in sesto a ogni sua ricaduta. Un giorno però la donna scompare improvvisamente e Bram, insieme ai fratelli, inizia un’indagine che li porterà in un territorio oscuro, dove scienza e superstizione si confondono e dove la figura del vampiro comincia lentamente a prendere forma.

La gran fortuna di questo romanzo è che non risulta un derivativo del classico immortale, ma mantiene una propria identità riscrivendo una storia tutta sua, nuova, pur mantenendo l’atmosfera vittoriana a cui eravamo abituati, con i suoi castelli, la nebbia e il senso perenne di decadenza. Interessante è stata anche la scelta di trasformare Bram Stoker in un personaggio letterario che si muove in una trama che ha pochissimi elementi di realtà, se non qualche aspetto biografico (località, membri della famiglia e qualche spunto di eventi accaduti). L’intreccio è interessante, rispettoso sicuramente della tradizione gotica, di amori vendette e rancori, ci sono lettere, documenti e manoscritti, anche se, secondo me, la grande forza è data proprio dall’atmosfera che si respira, dal senso perenne di inquietudine che striscia tra le pagine.

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