“Io sono nessuno” di Silvio Raffo. Vita e poesia di Emily Dickinson.

Silvio Raffo è considerato uno dei più grandi conoscitori della poetessa Emily Dickinson in Italia; ha tradotto le sue poesie, curato il Meridiano Mondadori a lei dedicato, fatto conferenze e scritto di lei in ogni suo aspetto. “Io sono nessuno. Vita e poesia di Emily Dickinson” è una biografia romanzata, con un potente focus sugli episodi della sua vita che hanno formato e scalfito la sua poetica. Emily Dickinson è probabilmente il cavallo di battaglia di Silvio Raffo, si avverte l’amore viscerale, ma ha dedicato i suoi studi e tradotto anche le opere di altre potesse e scrittrici, Emily Brontë, Charlotte Brontë, Anne Brontë, Christina Rossetti, Dorothy Parker, e curato le antologie di Ada Negri, Sibilla Aleramo, Antonia Pozzi.

Io sono Nessuno – e tu chi sei?
Sei Nessuno anche tu?
Allora siamo in due – non dirlo,
potrebbero spargere la voce!

Com’è pesante essere Qualcuno!
Così volgare – come una rana
Che gracida il tuo nome tutto Giugno
Ad un Pantano in estasi di lei!

È con questa poesia che inizia la biografia di Emily Dickinson, con questi versi in cui la poetessa dichiara di essere Nessuno e mostra la sua volontà di restare tale, com’è pesante essere Qualcuno! Riuscì in questo intento soltanto in vita, perché subito dopo la sua morte la sua Lettera al Mondo (la collezione di tutte le poesie scritte e da lei ordinatamente raccolte e custodite nella sua stanza) fu consegnata all’Umanità facendola diventare la più grande poetessa d’America. La vita di Emily Dickinson, scrive Silvio Raffo, così come la vita di altre grandi scrittrici – Jane Austen, Emily Brontë, Ivy Compton-Burnett -, fu povera di eventi esteriori, uneventful troviamo scritto sulle varie antologie. Infatti Emily Dickinson nacque (1830), visse e morì (1886) nella casa paterna in un piccolo villaggio del New England, Amherst. Non si sposò mai, né mai fu fidanzata, e trascorse gran parte della sua vita in un isolamento assoluto e voluto, all’interno delle mura della sua stanza.

Non era abile nelle faccende domestiche e le rifuggiva, non amava cucinare, anche se divenne davvero abile nel preparare il black cake. Trovava piacevole solo il giardinaggio, al punto da iniziare a creare un proprio erbario personale già all’età di undici anni. La sua esistenza era ravvivata soltanto da piccoli eventi che accadevano nel villaggio: l’arrivo di un circo, un funerale, un incendio, la partecipazione a un matrimonio, a un battesimo o, in occasione dell’annuale fiera agricola. Non ci furono quindi grandi sorprese ma, racconta Silvio Raffo, era la vita a costituire di per sé l’evento più significativo; tanto da trasformarsi, per il semplice fatto di essere percepita dalla coscienza, in una realtà di inebrianti tremori e trascendenze estatiche: l’avventura infinita della Poesia. Aveva il dono di “sentire” la Natura e la certezza di essere depositaria di un messaggio universale ed eterno.

Se ci fu un grande amore nella vita di Emily Dickinson, questo fu nei confronti di Susan Gilbert, sua cognata. In vita si scambiarono oltre trecento lettere, dibattevano spesso su i romanzi che leggevano, lo sconvolgente Jane Eyre. Facevano lunghe passeggiate, osservando gli animali e soprattutto i fiori che incontravano sul loro cammino. Il rapporto si incrinò quando Sue le disse che avrebbe sposato il fratello. Il suo fu un amore finito proprio quando l’amore era iniziato. Love is done when Love’s begun.

12 marzo 1853

Cara Susie, sei partita – quasi non sembrerebbe che ti avessi perduta a sentire questa vivacità, ma la tua assenza mi sconvolge, non mi sento calma, quando tu sei lontana – tutta la vita mi sembra diversa e le facce dei miei simili non sono le stesse di quando sei con me. Credo che il motivo sia questo: tu dipingi per me i quadri che io vedo, e io sono abituata ai loro dolci colori più che a questi cupi colori della realtà, e così, vedi, quando tu vai via il mondo mi sembra sconcertante e trovo che ho bisogno di un velo.

Emily Dickinson avvertiva spesso la sensazione dell’impossibilità di conseguire un traguardo, un obiettivo, ed è per questo che a un certo punto iniziò ad affiancarsi, quasi inconsapevolmente, la necessità di un antidoto: la poesia. Quando raggiunse questa consapevolezza e iniziò a riconoscersi come Poeta, si fece avanti anche la consapevolezza di essere privilegiata, in quanto chiamata a Qualcosa. Capì di possedere l’Arte del Fuoco, che illumina, purifica e distrugge per ricreare. Prese l’abitudine di trascrivere le sue poesie in maniera molto ordinata, con la sua larga grafia tondeggiante, suddividendole in piccoli fascicoli che usava rilegare con nastri sottilissimi. Per lei il massimo della concretezza era lo spirito che sentiva come qualcosa di tangibile, la passione che le bruciava dentro era talmente forte da non trovare adeguata espressione all’esterno.

Non si sentiva adatta a vivere nel mondo, anche perché sapeva troppo bene che il suo unico vero mondo era l’Universo, così nel 1862 decise di chiudere a chiave la porta della stanza. Veste sempre di bianco, si pettina sempre allo stesso modo. Bisognava delimitare lo spazio intorno a sé se non voleva precipitare nel vuoto, anche se non potrà mai essere sola, come dice in una sua poesia, perché ci sono gli Ospiti inafferrabili che riuscivano a eludere quella chiave. Continuò a scrivere anche quando fu colpita da una malattia agli occhi che la rese quasi cieca per un lungo periodo. Alla guarigione rimase in lei l’abitudine di tenere gli occhi chiusi per inseguire i frammenti di quell’intero che non è cosa di quaggiù.

Durante la lettura di “Io sono nessuno” ho incontrato parole come veggente e strega. Parole che provano a identificare Emily Dickinson in un essere più che umano, con una Vista che attraversa il tangibile e il reale. Lei possedeva davvero questo potere, perché tra le mura di una stanza con solo una finestra sul giardino è stata capace di sondare l’Universo, sublimare in versi qualcosa di inafferrabile come l’Eterno, andare oltre, al di sopra del rumore del mondo. Ho letto, a fine libro, della sua morte, del suo funerale ed è stato come presenziare, perché mi sono commosso come se stessi assistendo alla dipartita di una persona a me cara, ma…

Creature come queste sono morte –
perciò moriamo noi più rassegnati.
Ma vissero – Sia questo garanzia
per noi – dell’Immortalità.
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