“Orbital” di Samantha Harvey

Tra i libri più affascinanti che ho letto negli ultimi mesi c’è senza dubbio Orbital di Samantha Harvey. Da sempre nutro un profondo interesse per lo Spazio e per le storie ambientate in orbita; amo leggere di missioni spaziali, e al liceo ero stato così influenzato da Se il sole muore di Oriana Fallaci da scegliere la Luna e i suoi moti come tema centrale della mia tesina di maturità.

Di recente, abbiamo anche assistito a un viaggio turistico nello spazio – durato appena undici minuti – celebrato in modo grottesco come se si fosse trattato di una lunga e complessa missione. Questo evento, osannato come simbolo del progresso e del futuro, si è invece rivelato l’ennesima dimostrazione di superficialità e di disconnessione dall’essenza del nostro pianeta. Fortunatamente esistono ancora menti come quella di Samantha Harvey, capaci di restituirci uno sguardo ribaltato, profondo, che restituisce senso e misura.

In Orbital, l’autrice ci porta a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, dove racconta un singolo giorno nella vita di sei astronauti. Sei individui con storie, culture e formazioni differenti, ma accomunati da una condizione estrema e universale: l’osservazione silenziosa e contemplativa della Terra vista da lontano. Il romanzo si svolge nell’arco di 24 ore, scandite da sedici orbite attorno al nostro pianeta.

I sei astronauti non vengono mai pienamente definiti; restano figure sospese, evanescenti, delle quali cogliamo solo frammenti: ricordi, rimpianti, interrogativi su vita, morte, tempo, fede, Dio. Il vero fulcro del racconto, però, non è rappresentato da loro, né dallo Spazio o dall’infinito. La protagonista assoluta è la Terra. È lei il centro gravitazionale delle riflessioni, il soggetto poetico attorno a cui tutto ruota. I passaggi più intensi e lirici del romanzo sono proprio quelli dedicati alla sua descrizione: le parole di Harvey diventano veicolo di meraviglia, si caricano di emozione, spiritualità, filosofia, riuscendo a restituire al lettore una percezione quasi fisica di quella bellezza sospesa.

Leggendo, mi sono sentito leggero, come privato dalla gravità. Ero lì, dietro il vetro della cupola spaziale, con gli occhi lucidi, osservando il pianeta azzurro sotto di me, rapito e commosso. Orbital ha avuto su di me un effetto raro e potente: un nodo alla gola e, insieme, una dilatazione dello sguardo, della percezione. Per un istante ho avuto l’illusione di vedere la Terra davvero, con tutta la sua fragilità e la sua immensità, e di provare per essa un amore autentico e viscerale.

Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia avanza a velocità vertiginosa, e spesso si erge a protagonista assoluta del nostro tempo. Viene celebrata con entusiasmo quasi religioso, mentre si tralasciano le domande fondamentali, quelle etiche, quelle che riguardano la nostra condizione umana e la nostra responsabilità verso ciò che ci circonda. Samantha Harvey ci invita a recuperare quello sguardo dimenticato, a tornare a riflettere sul senso profondo del nostro essere nel mondo, sulla nostra incapacità di prenderci cura di ciò che è davvero prezioso: la Terra, la vita, l’equilibrio, la coesistenza.

La sua è un’opera che ci ricorda che non sempre il futuro è “là fuori”, in direzione di nuovi orizzonti da conquistare. A volte il futuro – e il nostro destino – è ciò che stiamo rischiando di perdere sotto i nostri piedi (o sotto le nostre orbite): un pianeta bellissimo, fragile, da guardare con occhi nuovi. E forse anche da amare un po’ di più.

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