“Alexis” di Marguerite Yourcenar. O il trattato della lotta vana.

Ciò che ti chiedo (la sola cosa che ti possa chiedere ancora) è di non saltare alcuna di queste righe che mi saranno costate tanto. Se è difficile vivere, è ancora più difficile spiegare la propria vita.

“Alexis” di Marguerite Yourcenar è una lunga lettera che un uomo, Alexis, scrive alla moglie, in cui prova a motivare le ragioni che lo hanno spinto ad allontanarsi da lei. La chiama amica mia e le chiede di prestare attenzione, si scusa per le tante cancellature, teme con le parole di tradire il suo pensiero e di dover semplificare troppo quello che non può e non deve essere semplificato. Non può parlarle a voce della sua colpa – sono troppo colpevole nei tuoi riguardi –, in una stanza intima a luce bassa parlando a bassissima voce, perché sa che lei lo interromperebbe per risparmiargli l’umiliazione e lui sarebbe così debole da desiderare di essere interrotto. Le parole scritte garantiscono la giusta distanza tra lui e la pietà della moglie, Monique.

Quello che Alexis deve confessare richiede tutto il suo coraggio, perché deve dirle che è attratto sessualmente dagli uomini. E perché una lettera così lunga? Certo per semplificare ed essere breve, potrebbe far uso di qualche termine preciso, scientifico, ma Alexis decide di non farne uso, non perché ne abbia paura – non bisogna aver timore delle parole – semplicemente non può per delicatezza verso di lei e rispetto per se stesso. La vita, Monique, è molto più complessa di tutte le possibili definizioni. Come può un termine scientifico spiegare una vita? Questo si domanda Alexis. Non spiega neanche un fatto; lo designa. Lo designa sempre nella stessa maniera, eppure non ci sono due fatti identici in diverse vite, e forse nemmeno in una sola.

Alexis si prende tutte le righe di cui ha bisogno, anche se restano limitate, soltanto la musica permette il concatenarsi degli accordi, e inizia dal principio, da quando era bambino. Prova a risalire a quando ha realmente capito se stesso e nel tentativo di far luce comprende che deve risalire ai primi ricordi del suo essere, ai primi sogni, ai primi istinti, ma è un tentativo vano perché quegli istinti gli erano naturali, hanno potuto per lungo tempo svilupparsi a mia insaputa. Un istinto non è ancora una tentazione, spiega Alexis, la rende soltanto possibile; per questo motivo non è pensabile risalire a un principio. Il principio non esiste.

La gente che parla per sentito dire sbaglia quasi sempre, perché vede dall’esterno e vede volgarmente. Non capisce come certi atti cosiddetti riprovevoli possano essere insieme facili e spontanei, come la maggior parte degli atti umani. La gente si scaglia contro l’esempio, contro il contagio morale, e così facendo rinvia sempre più la possibilità di un chiarimento. Non sa che la natura è più varia di quanto la si immagini; non vuole saperlo, perché è più facile indignarsi che pensare.

Può raccontarle con certezza, però, la paura, indeterminata e incessante, di quando l’istinto ha iniziato a condurlo alla tentazione della carne, paura di qualcosa che doveva essere mostruoso e che già in anticipo mi paralizzava. Può raccontarle del pensiero della morte, uno smarrimento, una disfatta che sarebbe stata dolce. Di cosa ha provato dopo aver ceduto, quella sensazione, essendo capitato in lui qualcosa di così grave, di essere cambiato, ma lo specchio mi restituiva invece la solita immagine, un viso indeciso, spaurito e pensoso. Della solitudine, perché non si ha nessuno a cui domandare consiglio, e dell’inevitabile conseguenza di murarsi in se stessi.

Alle altre forme di felicità non pensavo nemmeno; si trattava dunque di scegliere fra le mie tendenze, che giudicavo delittuose, e una rinuncia completa che forse non è umana. Feci la mia scelta. Mi condannai, a vent’anni, all’assoluta solitudine dei sensi e del cuore.

E giunge in fine a lei, a quando l’ha conosciuta, a quando per il desiderio di far bene mi condusse più in basso dei peggiori calcoli: ti rubai l’avvenire. Alexis, nella sincerità più pura, le racconta tutto quello che non si sono detti, almeno a parole, perché l’aria intorno a loro, al contrario, era già piena delle parole non dette, perché alcuni fervori erano in comune, come i pretesti per restare in strada abbracciati a guardare la vita degli altri. Simulavamo la presenza del sonno, per non essere costretti a compiangerci l’un l’altra. E quando lei piangeva, lo faceva più silenziosamente possibile, lui fingeva di non accorgersene perché è meglio non accorgersi delle lacrime, quando non possiamo consolarle.

Alexis, però, preferisce il peccato (se di peccato si tratta), piuttosto che la negazione di sé. Quello che rimpiange non sono le sue colpe, ma tutte le possibilità di gioia che aveva respinto, non di aver ceduto troppo sovente, ma di aver a lungo e troppo duramente lottato. Invano. Aveva ridotto la sua anima a una sola melodia lamentosa e monotona e adesso odia tutto ciò che lo aveva falsato, schiacciato tanto a lungo. La vita mi ha fatto ciò che sono, prigioniero (se vogliamo) di istinti che non ho scelto, ma ai quali mi rassegno, e questa accettazione, spero, in mancanza di felicità, mi darà la serenità.

Marguerite Yourcenar, conosciuta per lo più per il suo “Memorie di Adriano”, nella prefazione del libro scrive che “Alexis, o il trattato della lotta vana” è uno dei pochissimi libri che ha deciso di non riscrivere, paga di quanto scritto e consapevole di non aver trovato, a distanza di trent’anni (il libro è del 1929), un mondo trasformato; i costumi sono cambiati troppo poco perché il dato centrale di questo romanzo abbia potuto invecchiare. E in effetti basta guardarsi intorno per accorgersi che il dramma di Alexis e di Monique non ha smesso di essere vissuto e senza dubbio continuerà ad esserlo finché il mondo delle realtà sensuali sarà sbarrato di proibizioni.

Io non ho nessuna parola adeguata a descrivere questo capolavoro, ho lasciato fare – inserendole più spesso del solito – alle parole della scrittrice, così da non permettere al valore immenso dell’opera di sfuggire o di sfumarsi in un mio limite. Resterà con me, nel mio cuore commosso.

Avevo assunto nei tuoi riguardi impegni imprudenti che la vita avrebbe disdetto: ti chiedo scusa, il più umilmente possibile, non tanto di lasciarti, quanto di essere rimasto così a lungo.

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  1. Iniziato anche io dopo aver visto che lo stavo leggendo! Lo sto amando alla follia, oltre che per la scrittura poetica di Yourcenar che già avevo adorato in Memorie di Adriano, per la sua estrema delicatezza. Non vorrei finirlo, leggo poco alla volta per non doverlo rimettere in libreria subito! Il tuo articolo, come sempre d’altronde, riassume, e omaggia, alla perfezione questo gioiello di libro 💕

    1. Grazie mille per aver letto l’articolo e felice che tu stia leggendo anche il libro. È di una delicatezza indescrivibile. Meraviglioso nella sua essenza.

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