“I pesci non esistono” di Lulu Miller

libro i pesci non esistono

Lulu Miller era soltanto una bambina quando il padre le disse che non doveva dimenticare mai che per quanto potesse sentirsi speciale, non c’erano differenze tra lei e una formica. Sarai un po’ più grossa, forse, ma non più importante. Tranne che… non mi sembra che tu stia aerando il suolo, vero? E non ti stai nutrendo di legna per accelerare il processo di decomposizione, o sbaglio? Per il pianeta conti meno di una formica. La frase “non conti nulla” la perseguita per tutta l’adolescenza, con un effetto che mai poteva immaginare, non era prevedibile. A 16 anni Lulu Miller scriveva sul diario che non vedeva approdi sicuri, che il mondo esteriore non offriva altro che corridoi infidi e orizzonti vuoti. Non vedo luccicare niente.

Più volte Lulu Miller ha pensato al suicidio, di farla finita sparandosi un colpo di fucile o imbottendosi di farmaci, spesso si è tagliata sulle braccia per far fluire il dolore. Le scelte sbagliate che ha preso sono molteplici e altrettante le volte in cui ha provato a riparare quegli errori, ma sembra che la vita non le dia mai seconde chances. Resta sempre a brandelli, incompiuta. Lotta con tutte le forze per restare a galla, per trovare un senso a quel dolore, e trova, inaspettatamente, un’àncora di salvezza in un uomo vissuto un secolo prima di lei: David Starr Jordan. Si imbatte in lui per caso e ci si aggrappa davvero come se fosse l’ultima sua possibilità di salvarsi.

David Starr Jordan (1851-1931) è stato uno dei più famosi tassonomisti al mondo; era uno di quegli scienziati che cercavano di mettere ordine nel Caos della Terra svelando la forma del grande albero della vita: lo schema che, in teoria, mostra nelle sue ramificazioni l’interconnessione tra esseri vegetali e animali. Nello specifico, Jordan era specializzato in pesci e ha trascorso gran parte della sua vita navigando per il mondo in cerca di nuove specie. Riuscì a scoprire ben un quinto dei pesci noti all’epoca. Li pescava, ne immaginava il nome che scriveva su etichette in stagno che poi immergeva insieme agli esemplari in vasetti di vetro colmi di alcol etilico.

Nel 1906 un terremoto colpì la sua collezione di pesci e la rovesciò. Centinaia e centinaia di vasetti caddero dagli scaffali, si sbriciolarono facendone fuoriuscire gli esemplari di pesci che erano all’interno. Tutte le etichette che erano state ordinatamente inserite si dispersero, si mischiarono, facendo ritornare il Caos. David Starr Jordan non poteva ricordare a memoria i nomi che aveva dato a tutti i pesci, quali etichette far combaciare con gli esemplari; in un mondo dominato da Caos non c’è tentativo di fare ordine che non sia destinato a un evitabile fallimento. Il tassonomista però non si perse d’animo, si rimboccò le maniche e cercò di raccogliere i pesci di cui ricordava il nome e le relative etichette, poi prese un ago da cucito e un filo e fissò le etichette direttamente sugli animali, così da non permettere mai più il verificarsi di una situazione del genere.

Per l’autrice David Starr Jordan diventa un esempio di caparbietà e coraggio e ritiene che possa aiutarla a fare ordine anche nel Caos della sua vita. Inizia così a recuperare tutti i libri esistenti su Jordan, ma ad aprirle un mondo saranno i volumi scritti dallo stesso, in cui racconta non solo le sue scoperte, ma anche la sua vita, le sue idee e i suoi progetti. Più Lulu Miller scava nell’abisso di Jordan e più però inizia a capire che non è l’uomo, lo scienziato, che aveva immaginato. L’esempio di caparbietà e coraggio piano piano inizia a logorarsi, a scorticarsi, a frantumarsi come quei vasetti caduti dagli scaffali, per mostrare nudo e crudo il vero David Starr Jordan. Un uomo che pur di avere il controllo assoluto e giungere ai suoi obiettivi cominciò a inventare tecniche di cattura dei pesci sempre più aggressive – li faceva letteralmente saltare fuori dall’acqua con la dinamite, li staccava a martellate dal corallo e, soprattutto per stanare la miriade di pesciolini nascosti nelle minuscole crepe delle pozze di marea, sfruttava un espediente ancora più maniacale: il veleno – e a commettere anche i più gravi reati, come l’omicidio, pur di non lasciare nessuno a ostacolargli il cammino.

A togliere letteralmente la terra sotto ai piedi di Lulu Miller è, però, la scoperta che David Starr Jordan fu un fervido sostenitore dell’Eugenetica. L’eugenetica è una disciplina nata a fine Ottocento che, basandosi su considerazioni genetiche e applicando i metodi di selezione usati per animali e piante, si poneva l’obiettivo del miglioramento della specie umana. Francis Galton fu il primo, nel 1883, a darne una definizione e ipotizzò che le forze della selezione naturale si potessero manipolare in modo da ottenere una razza padrona di esseri umani, priva di tratti che lui credeva ereditari: povertà, criminalità, analfabetismo, frenastenia e promiscuità. Grazie all’eugenetica, riteneva Galton, l’Europa poteva tornare a essere Grande. Jordan fu abbindolato dalle teorie di Galton e nei suoi scritti iniziò a elencare i tipi di persone che avrebbe voluto cancellare dalla Terra – poveri, alcolizzati, imbecilli, depravati – ammucchiandoli nell’unica categoria degli indegni.

La soluzione che Jordan promuoveva era quella della sterilizzazione, dare una sforbiciata agli organi riproduttivi degli indegni in modo da evitare che potessero procreare e trasmettere il loro corredo genetico alle generazioni future. Nei primi anni del Novecento in tutta America si cominciarono a praticare sterilizzazioni, e talvolta esecuzioni clandestine. Jordan iniziò una campagna per la legalizzazione della sterilizzazione genetica, riuscendo con l’aiuto di alcuni amici a renderla obbligatoria in alcuni Stati, come l’Indiana e la California. Si diffusero riviste di eugenetica, cosmetici eugenetici, perfino concorsi di eugenetica in cui venivano assegnati premi alle famiglie più sane e ai bambini migliori. Coccarde blu per la pelle più chiara, la testa più rotonda, il viso più simmetrico. Nel 1916 il libro pubblicato dall’eugenista americano Madison Grant, La scomparsa della grande razza, finì anni dopo nelle mani di un giovane Adolf Hitler che lo considerò la sua Bibbia. Vennero sterilizzati, indistintamente, figli e figlie di immigrati messicani, italiani e giapponesi, migliaia di donne e uomini neri, circa un terzo delle donne portoricane, persone disabili, gente promiscua. Insomma, ogni scusa era buona per sterilizzare e bloccare quel patrimonio genetico indegno.

Lulu Miller non può più aggrapparsi a David Starr Jordan, la sua àncora di salvezza ha la corda spezzata e lei è costretta a navigare nel suo oceano senza sponde. Deve affidarsi soltanto a se stessa e a smontare pezzo dopo pezzo quel Jordan che aveva così appassionatamente costruito e idealizzato. E per farlo bussa alla porta di Charles Darwin, al suo L’origine della specie, in cui si parla proprio della variazione nei geni, del fatto che levare a una specie i mutanti e le eccezioni significa esporla ai pericoli e renderla vulnerabile agli elementi. L’incrocio tra tipi diversi dà più vigore e fertilità ai loro discendenti, non si può mai sapere quali tratti si dimostreranno utili quando le condizioni saranno cambiate. Ma lo smacco finale, Lulu Miller glielo dà quando arriva anche alla consapevolezza che i pesci non esistono. Negli anni Ottanta del Novecento i tassonomisti si resero conto che i pesci, come legittima categoria di creature, non esistono. Gli uccelli, i mammiferi, gli anfibi esistono, i pesci no. La categoria che David aveva così a cuore, nella quale si rifugiava nei momenti bui, alla cui definizione dedicò un’intera esistenza, non c’è mai stata.

È impossibile definire “I pesci non esistono” di Lulu Miller, perché è sia un memoir che una biografia, un’inchiesta ma anche un omaggio alla scienza. Questo libro è tante cose, in poco più di duecento pagine l’autrice indaga su se stessa attraverso la storia di uno scienziato, cerca e avrà un riscatto nei confronti di David Starr Jordan, ma anche nei confronti di suo padre che l’ha fatta sempre sentire una nullità. Alla fine, si è salvata da sola, con le sue forze, con la caparbietà e il coraggio che aveva intravisto in altri, ma che in realtà erano sedimentati in lei. “I pesci non esistono” è intenso, colto, profondo, coraggioso, è un’immersione negli abissi umani alla ricerca della tangibilità della nostra esistenza e dell’importanza che essa ha.

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