“Il naufragio della baleniera Essex” di Owen Chase

Vorrei avere una stanza vista Oceano. Magari dentro a un faro, non importa che sia bel tempo o in balia di una tempesta, tra le immense onde.

Quando ho scoperto che era in ristampa “Il naufragio della baleniera Essex” di Owen Chase, edito dalla casa editrice SE (tra le mie preferite) non ho aspettato un giorno in più. Mi sembrava di aver scoperto un nuovo pianeta.

La baleniera Essex, il 12 agosto 1819, salpò da Nantucket. Il suo obiettivo era quello di doppiare capo Horn, arrivare nell’Oceano Pacifico e lì cacciare le balene. Qui giunti, scesi sulle lance, dopo aver avvistato un gruppo di balene, un capodoglio, solitamente animale pacifico, attacca la baleniera. Una prima volta, aprendo una falla alla prua, e una seconda volta, distruggendola e facendola naufragare.

L’intero equipaggio si salva, su tre scialuppe. Restano due giorni nei pressi della baleniera per recuperare i viveri indispensabili. Pane, acqua e tartarughe (loro preferenza, essendo un animale che senza acqua e cibo riesce a restare in vita anche un anno intero).

Inizia da qui la loro lotta alla sopravvivenza, da qui affronteranno il destino in mezzo all’Oceano. Destino terribile che porterà i venti sopravvissuti al cannibalismo.

Owen Chase è il primo ufficiale dell’Essex e questa è la sua terribile testimonianza. Sarà uno dei primi accadimenti in cui il cannibalismo è documentato e per cui, durante il processo, verrà data loro la grazia.

Senza questa storia, senza le testimonianze di Owen Chase, del capitano Pollard e di un altro marinaio, Herman Melville non avrebbe mai scritto il suo capolavoro: Moby Dick.

Leggere di questi venti uomini di mare, del capitano, del primo ufficiale, mi ha fatto incupire il cuore. Quello che è accaduto loro, Dio non avrebbe dovuto permetterlo. Owen Chase,Lui pregava, a Lui chiedeva la grazia, a Lui invocava la salvezza e la fine di ogni sofferenza. Lo ha ascoltato? Probabilmente, ma soltanto dopo avergli fatto scrutare ogni recesso del suo cuore e della sua anima, ogni anfratto dell’Inferno.

Come si può vivere sapendo di essersi cibati di un proprio compagno? È stato necessario per sopravvivere?, oppure avrebbero dovuto scegliere di lasciarsi morire?

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