Quando la bella Venere, luccicante di rugiada, si formò dalla schiuma del mare e sorse dalla sua onda; quando Pallade tutta armata uscì dalla testa di Iuppiter, la terra a sua volta partorì una pianta ammirabile, un nuovo capolavoro della natura. Desiderosi di accelerarne lo sbocciare, gli dei l’annaffiarono di nettare, e rapida si alzò maestosa, ergendosi sullo stelo spinoso.
Anacreonte (570-485 a.C.)
Chi lo avrebbe mai detto che un giorno avrei letto un libro sulle rose, e soprattutto che lo avrei così tanto amato.
Ho una passione per la Natura da quando ero bambino, per me non esistevano macchinine, ma soltanto animali, fattorie di legno, enciclopedie e piante da curare. I vicini di casa, soprattutto le donne anziane, mi guardavano con circospezione. Per loro era sorprendente che un bambino potesse curare delle piante e soprattutto avere un gusto estetico tale da poter dare al giardino un senso compiuto.
Non conoscevo i nomi delle piante, se non di quelle che abitavano ogni casa (come i gerani e qualche aromatica). Seminavo, raccoglievo talee, improvvisavo la loro cura. Fallivo tante volte, ma non me ne facevo un cruccio; da bambini si è più testardi e si crede probabilmente di più in sé stessi. Ogni tanto con la paghetta dei nonni andavo dal fioraio e acquistavo una pianta.
Nessuno mi ha mai detto cosa comprare, quali fiori magari stavano meglio in un giardino esposto a sud o a ovest. Questo non perché mi lasciassero libero di esprimermi (anzi, mia mamma a un vivaista chiese se fosse normale che io maschietto avessi una passione per i fiori), ma soltanto perché nessuno nella mia famiglia amava le piante, né i miei genitori, né i miei nonni. Gli unici consigli che ricevevo erano quelli della vecchia signora che ci abitava di fianco.
Questa passione me la sono portata fin da adulto, ho avuto tantissime piante, fiori di ogni tipo, ma – e qui giuro smetto di divagare e arrivo al punto – non avevo mai avuto una rosa. Mai, nemmeno per sbaglio, nemmeno regalata. Questo perché non mi piacevano le rose, non mi piace il colore rosso nei fiori, e nella mia testa la rosa era rossa, quella che si vede in ogni dove, commercializzata fino alla nausea, simbolo di un amore convenzionale, stereotipato.
È accaduto, poi, che, il maggio scorso ho deciso di andare a visitare il Roseto Comunale di Roma, città dove abito. Me ne avevano parlato tutti bene, quindi passando di lì e vedendo i cancelli aperti, ho varcato quella soglia. Ne sono uscito dopo tre ore, commosso, inebriato di profumi e di colori e dell’immensa bellezza delle rose. Tornato a casa ho iniziato a cercare alcune rose che avevo particolarmente amato, come la Cecile Brünner (introdotta da Pernet-Ducher nel 1841) e la Emily Brönte del famosissimo inglese David Austin (che ora sono nel mio giardino in due grandi vasi, ancora non in fiore ma ci siamo quasi), e soprattutto a scovare libri che parlassero di loro.
Tra una chiacchiera e l’altra con persone che ne sanno più di me di rose, è uscito fuori il libro “Il romanzo della rosa – storie di un fiore” di Anna Peyron. Mi sono fidato e l’ho ordinato senza pensarci troppo.
Anna Peyron ha fondato il Vivaio Anna Peyron di Castagneto di Po (TO), luogo che immagino essere magico, specializzato nella coltivazione di rose antiche e botaniche. La cosa che mi ha subito colpito di lei è che ha come muse ispiratrici Gertrude Jekyll (la dea incontrastata dei giardini), Vita Sackville-West (famosa scrittrice di testi sul giardinaggio), Ada e Marguerite Caetani (hanno dato vita al meraviglioso Giardino di Ninfa); “sono le mie maestre ideali e i loro giardini una fonte inesauribile d’ispirazione e d’insegnamento”. È bastato questo per far cadere su di lei una luce antica, nostalgica, poetica e a dare al libro quel tocco di magia.
La rosa esiste da più di trentasette milioni di anni, lo testimoniano i fossili dell’Oligocene ritrovati in Oregon. Veniva coltivata nella mezzaluna fertile lungo il delta dei fiumi Tigri ed Eufrate (2300 a.C. circa); era apprezzata nelle antiche Grecia e Roma. Le rose ornavano le teste dei condottieri, le case e le tavolate; i petali venivano utilizzati per imbottire materassi e cuscini e come ingrediente per tante ricette e unguenti.
Nel pieno della festa, petali profumati scendono dal soffitto sui commensali, in tale quantità che Seneca lamenta i costi di tanta opulenza.
In Italia i luoghi di produzione erano tre, Preneste (a sud di Roma), Leporia e Paestum (dicono che il paesaggio era meraviglioso); la richiesta era talmente elevata che si dovette perfino far arrivare le rose da altri Paesi.
La rosa è presente nei versi di Petrarca, Cavalcanti, ben sessanta volte nei sonetti di Shakespeare; nelle opere di Goethe, Blake, Keats, Mallarmé, Wilde, D’Annunzio, Rilke, Eliot, Ungaretti, Pasolini, Eco; è stata resa immortale nei dipinti di Botticelli e Tiziano. È, insomma, presente in ogni dove.
Anna Peyron, dopo un breve excursus storico, si sofferma sulla figura di Marie-Josèph Rose Tascher de La Pagerie, meglio nota come Giuseppina di Beauharnais, prima moglie di Napoleone Bonaparte. Nel suo castello di Malmaison, mentre il marito era impegnato nelle campagne di Egitto e Siria, iniziò delle grandi opere di restaurazione sognando il suo giardino. Senza badare a spese e mai sazia, ordinò piante da tutto il mondo, in particolare le rose. Ne voleva sempre di più, non le bastavano quelle che già c’erano e che fiorivano soltanto una volta l’anno; contattò i migliori botanici ed esperti. Nel suo castello furono ibridate le prime rose, le capostipiti di quelle che ancora oggi troviamo in commercio. In onore di Malmaison e di Giuseppina, una rosa fu chiamata Souvenir de la Malmaison, ed è meravigliosa.
Da Malmaison, si passa poi a Caserta, nella Reggia, dove la regina di Napoli Carolina di Borbone creò il suo giardino all’inglese e un roseto meraviglioso, meta di studio di appassionati botanici. Senza sosta si va poi in Russia, Germania, Inghilterra, Italia, entriamo in giardini segreti, passiamo per l’America e soprattutto in Cina. Nella terra del Sol levante fu mandato dalla Royal Horticultural Society il famoso ladro di tè, Robert Fortune, per scovare nuove piante e lì trovò la rosa che gli diede grande fama e che porta adesso il suo nome, Fortune’s Double Yellow. Ma non è la sola rosa che porterà a Londra, ce ne saranno altre e cambieranno la storia delle rose; possedere un rosa cinese era considerato il massimo del lusso, uno status symbol.
Gli ibridatori più famosi sono qui raccontati: Pernet-Ducher, Meilland, Guillot, Cochet, David Austin e tanti altri; come sono raccontate le vicissitudini della rosa blu, della ricerca del profumo e del colore perfetti. Anna Peyron ci fa conoscere i roseti più belli al mondo, e anche quelli di luoghi un po’ strani per questo fiore, come Alcatraz e i cimiteri.
“Il romanzo della rosa” è un libro che gli amanti delle rose non devono assolutamente farsi scappare, è una gioia per l’anima, un viaggio nostalgico pieno di meraviglie, fa sognare e desiderare di avere un roseto tutto per sé. É, tra l’altro, uno scrigno di informazioni da cui possiamo attingere per fare ricerche e scoprire tantissime altre strade che portano, però, tutte alla Rosa.
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