“Le creature del buio” di Stephen King

Interrogativi come la sorte toccata alla popolazione che aveva colonizzato l’isola di Roanoke, al largo della costa della Carolina del Nord per scomparire nel nulla, per esempio, lasciando di sé come unica traccia l’inspiegabile parola CROATOAN scalfita in un tronco d’albero; o i monoliti dell’Isola di Pasqua o l’improvvisa follia collettiva, vera o apparente che fosse, nello stesso giorno dell’estate del 1884, di tutta la cittadinanza di un piccolo borgo dell’Utah chiamato Blessing. Se qualcosa non si sapeva con certezza assoluta, non c’era niente di male a immaginare… fino a prova contraria.

Da ragazzino ero convinto che sulla montagna che vedevo dalla finestra di casa, distante tra l’altro soltanto un paio di chilometri, fosse precipitato un UFO. Di sera, al buio, guardavo in direzione del punto dove mi era stata segnalata la caduta (dal mio migliore amico) in attesa di scorgere una luce verde, l’accendersi della navicella per ritornare nello spazio. Qualche sera invece gli occhi erano rivolti al cielo perché magari una nuova navicella sarebbe venuta sulla Terra per portare in salvo gli alieni rimasti intrappolati nell’altra.

Un giorno ci sono anche andato. Fu il mio amico a portarmici; lui abitava proprio ai piedi della montagna. Trascorremmo un pomeriggio intero in una zona scoscesa dove la vegetazione era crollata a valle; per noi due era a causa della caduta dell’UFO, per i nostri genitori a causa di una frana.

Iernotte a tarda ora,
i Tommyknocker, i Tommyknocker,
hanno bussato e oggi ancora.
Vorrei uscire ma non so se posso,
per la paura
che m'hanno messo addosso.

Stephen King nella prefazione del romanzo “Le creature del buio” avvisa il lettore che tutto quello che leggerà è frutto della sua invenzione, sia la cittadina di Haven che i personaggi. Solo i Tommyknocker sono reali.

Il nome Tommyknocker proviene da una filastrocca che sia King che la moglie conoscevano. Cosa fossero non è sicuro, forse orchi abitatori di gallerie sotterranee oppure fantasmi frequentatori di caverne e miniere abbandonate. Fatto sta, sono creature del buio, mostri, incubi, e in questo romanzo ciò che fa paura sono gli alieni. I Tommyknocker ad Haven sono gli alieni.

L’incidente scatenante che dà inizio alla storia, che scuote la tranquilla vita della cittadina di Haven è la caduta accidentale di Roberta “Bobbi” Anderson. Stava passeggiando nel bosco vicino casa quando inciampa in un oggetto infilzato nel terreno. È uno spuntone che fuoriesce, un oggetto metallico, indefinibile. Decide così di scavare un po’ per capire di cosa si tratta. Ma quello che spunta dal terreno è soltanto una piccolissima parte dell’oggetto. Bobbi la tocca e sente una strana vibrazione, il suo fisico ne resta stravolto tanto da provocarle abbondanti mestruazioni. Le ci vorranno giorni, di scavo e di analisi, per capire che si tratta di un’enorme navicella spaziale.

La navicella spaziale è sepolta da tempi immemori, prima della venuta dell’uomo. Mentre viene disseppellita rilascia nell’aria una sostanza invisibile, immateriale. Non si sa se è un gas o sono radiazioni che avvelenano l’aria. Fatto sta che gli abitanti di Haven iniziano ad avere strani comportamenti. Acquistano il potere della telepatia e una spiccata bravura nella tecnologia, iniziando a creare e dare vita a nuovi macchinari che se ne fregano delle leggi della fisica, ma questo al prezzo di una violenza psicotica che li porta a commettere azioni disumane.

Per una telepatia di sensi e non di certo dovuta alla navicella, Jim Gardner (Gard) avverte che Bobbi è in pericolo e decide di raggiungerla. Sono amici, un tempo erano amanti, ma vivono a chilometri di distanza. Gard, di notte, dopo una incredibile sbronza e un lungo viaggio, giunge a casa di Bobbi e la trova completamente cambiata. È diventata uno scheletro, è misteriosa. In casa la porta del box è chiusa con un lucchetto, si intravede solo una luce verde.

L’aria malata di Haven però sembra non avere presa su Gard, questo grazie a una placca di metallo che gli è stata impiantata in testa durante un’operazione chirurgica. Mentre lui riesce con lucidità ad assistere agli eventi, i cittadini di Haven iniziano la loro mutazione, in esseri non umani, in esseri che si avvicinano molto di più agli alieni presenti nella navicella.

Che poi noi lettori non sappiamo come sono fatti gli alieni, i Tommyknocker. Sappiamo solo che ci sono, li sentiamo: “un ritmico sciacquio, un odore cattivo… e quell’altro suono, qualcosa di simile al debole guaito gorgogliante di un cane che annega”.

La mole del romanzo mi spaventava, era uno dei libri di Stephen King che rimandavo da tanti anni, eppure come mi accade ogni volta con un suo scritto l’ho divorato e mi sono riempito di meraviglia e di orrore. Quante cose vorrei scrivere in merito. Lo ripeto per l’ennesima volta, King è uno dei più grandi scrittori esistenti.

Anche in “Le creature del buio”, come suo solito, King fa riferimenti ad altre sue opere, e in questo caso troviamo It e la sua Derry, l’Incendiaria, La zona morta. Addirittura cita il film Shining di Stanley Kubrick che, i fan del Re sanno, non ha affatto amato, e tra le righe lascia anche un riferimento a sé stesso, “…scriveva buone storie western in cui c’era da affondare i denti con piacere, buone storie solide senza tutti quei mostri inventati e tutte quelle parolacce dei libri che scriveva per esempio quel tizio di Bangor”.

I personaggi delineati sono da manuale per quanto descritti magistralmente. Haven è un microcosmo perfetto e inquietante come lo è la famosissima cittadina di Derry. Nulla del romanzo mi ha annoiato, ogni capitolo è un incastro perfetto, e anche il finale, che solitamente è il punto debole di King, mi ha soddisfatto. Grandioso.

“Mentre con la punta delle dita sfiorava quel simbolo vagamente cinese, pensava: questo segno è stato concepito da una creatura vissuta alla luce di un altro sole. Che cosa significa? Vietato l’accesso? Siamo venuti in pace? Oppure un simbolo negativo, la versione aliena di «Lasciate ogni speranza, o voi che entrate»?”

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