“Piranesi” di Susanna Clarke

Dopo oltre un decennio dall’acclamato Jonathan Strange e il Signor Norrell, Susanna Clarke torna con un libro decisamente più breve (300 pagine), ma di una potenza visionaria sorprendente: Piranesi. Senza ombra di dubbio, a mio avviso, uno dei migliori fantasy letti negli ultimi anni.

Ed è già dal titolo che la mia testa ha iniziato a fantasticare, a cercare di capire per quale motivo quel nome, Piranesi. Forse l’autrice ha voluto omaggiare il famosissimo incisore e architetto veneziano Giovanni Battista Piranesi? Il fauno che suona il flauto raffigurato sulla copertina, poggiato su una colonna, mi ha fatto propendere per il sì.

E la conferma l’ho avuta entrando nella storia, leggendo le prime pagine e ritrovandomi nella Casa. Un enorme edificio dagli infiniti saloni. Corridoi immensi e maestose scale che conducono da un vestibolo all’altro, da un salone all’altro, da un piano a quello superiore. In ogni dove sono esposte statue marmoree, di una magnificenza unica; e lì dove non ci sono, al loro posto plinti, nicchie e absidi. Si avverte il senso di grandezza, ma anche l’inesorabilità dell’abbandono. Soltanto ampi spazi e statue. Null’altro.

Nella mia testa sono passate in rassegna le sedici tavole del Piranesi, quelle delle Carceri. Sale immense, scale che salgono e scendono all’infinito, un intrico di volte, rovine classiche. Gli edifici labirintici del Piranesi. Labirinti che conducono allo smarrimento. Labirinti dove immagini possa esserci un Minotauro.

Nella Casa vive, forse da sempre, Piranesi. Lui ha memoria soltanto di quel Mondo, la Casa. D’altronde non esiste altro, quindi la Casa è il Mondo. Piranesi appunta sui suoi diari tutto quello che vede, le meraviglie di quel luogo, traccia mappe per ricordare come andare da un salone all’altro, senza perdersi. Noi scivoliamo tra le pagine proprio attraverso i suoi diari. Piranesi conosce alla perfezione ogni statua – la sua preferita è un fauno – e l’arrivo delle maree.

Sì, perché la solitudine della casa viene sconquassata a ritmi regolari dalle maree. Maree che bagnano i pavimenti, maree che quasi ricoprono le statue, maree che inondano saloni interi con schiaffi di onde sulle scale e le pareti, maree che si intrufolano ai piani superiori con violenza.

Piranesi si ciba di alghe, pesci e crostacei; di quello che le maree portano con sé.

Ai piani alti le statue si perdono tra le nuvole. Saltuari piogge creano ruscelli e cascate che scorrono lungo le pareti.

Ogni martedì e venerdì Piranesi si incontra con l’unica altra persona esistente nella Casa, l’Altro. Questi è un uomo enigmatico, uno studioso, e Piranesi gli racconta ogni scoperta fatta nel suo vagabondare. Piranesi e l’Altro, nella Casa non esistono altre persone, se non scheletri. Di chi fossero non si sa, Piranesi non ne ha memoria.

Eventi straordinari sono così rari che Piranesi indica questi al posto degli anni. E infatti leggiamo sulla prima pagina del suo diario “Annotazione per il primo giorno del quinto mese dell’anno in cui l’albatros è arrivato nei saloni sud-occidentali”. L’arrivo dell’albatros, l’uccello marino per eccellenza, portatore di speranza. Il collegamento all’albatros di Coleridge ne “La Ballata del vecchio marinaio” è inevitabile.

Sto perdendomi anche io nel labirinto della Casa, nel provare anche solo minimamente a trasmettere il senso di grandezza di questo Mondo. Come Piranesi riempirei pagine e pagine di diari, ma…

…inavvertitamente, in uno dei giorni dell’anno in cui l’albatros è arrivato nei saloni sud-occidentali, iniziano ad apparire messaggi misteriosi. Qualcun altro è arrivato nella Casa e vuole mettersi in contatto con Piranesi. Lui ne è felice, finalmente un nuovo amico, ma per l’Altro è una terribile minaccia e comanda Piranesi di non cercarlo e di nascondersi nel caso lo avesse incontrato.

Ogni angolo della Casa è perfettamente appuntato nei diari di Piranesi che pensa di conoscerla alla perfezione. Ma non è così, la Casa non è quel Mondo che lui ha creduto fosse da quando ha memoria.

Mi fermo qui ai limiti di quello che si può dire per non rovinare la sua lettura che consiglio caldamente di fare. Susanna Clarke ci ha fatto attendere tanto, ma ci ha donato un romanzo di qualità, poetico, ma soprattutto che fa una cosa meravigliosa, spinge a far uso della nostra immaginazione. E la sentiamo che si smuove, che esce fuori per esplorare anch’essa la labirintica Casa. E’ facilitata dagli immensi saloni, dalle bianche statue, dall’acqua che va e viene; libera di spaziare senza incontrare troppi ostacoli di inchiostro dell’autrice.

E’ un fantasy atipico. Ci sono pochissimi personaggi, non ci sono grandi battaglie, non c’è un unico e stereotipato nemico che incarna il Male. Non ci sono ruoli, creature misteriose, e nemmeno eroi. Non ci sono pagine fitte di informazioni.

Ci sono la grandezza e la bellezza, e il senso di abbandono che queste lasciano. C’è il fluire delle maree.

C’è solo un Mondo che pare aver privato chi lo abita del proprio passato. C’è sempre stata solo la Casa.

“In tutti questi luoghi, mi sono fermato sulla Soglia e ho guardato avanti. Non ho mai visto alcuna indicazione che suggerisse che il Mondo stesse arrivando a un Confine, ma soltanto il regolare susseguirsi di Saloni e Corridoi a Perdita d’Occhio.”

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Comments 6
  1. Dopo aver letto la tua recensione, ho deciso che, sebbene io non abbia mai letto un fantasy, lo leggerò. Da come ne parli ha quel ché di intrigante che mi terrà incollata alle pagine. Grazie.
    (domani vado in libreria)

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