“Giù nella valle” di Paolo Cognetti

giù nella valle Paolo Cognetti

L’uscita di un libro di Paolo Cognetti è sempre un grande evento, attesissimo da tutti i suoi lettori e le sue lettrici. Certo che portare sulle spalle l’enorme macigno del successo avuto con Le otto montagne non deve essere semplice, il paragone viene naturale, discostare tutti gli altri suoi libri da quel titolo è impossibile. Cognetti dovrebbe essere doppiamente bravo e ispirato in ogni suo nuovo romanzo per fare meglio, ma superare l’eccellenza è difficile.

Io per primo ho conosciuto Paolo Cognetti con Le otto montagne, nel 2017, romanzo che ha vinto anche il Premio Strega. Ricordo di averlo letto in un mio viaggio on the road tra la Svizzera, l’Austria e la Germania, durante un freddo e meraviglioso Gennaio con la neve e le temperature rigide. Ascoltavo i Mumford and Sons, avevo appena finito la lettura di Il richiamo della foresta di Jack London, quindi mi è stato facile far entrare anche la scrittura di Paolo Cognetti. Si incastrava perfettamente. Lasciavo una storia animale per una umana, fatta di amicizia tra due ragazzi e un rapporto complicato padre figlio. E sono stati proprio questi due tipi di relazioni umane che mi hanno legato saldamente, anima a libro. Come ho avuto modo di dirgli direttamente, qualche giorno fa, mi sono sentito spesso compreso.

Ho proseguito leggendo le sue opere successive – attese con gioia – Senza mai arrivare in cima e La felicità del lupo, e con grande sforzo devo ammettere che mi hanno quasi fatto arrabbiare perché, nonostante fossero scritti meravigliosamente, non avevano scosso nulla, non avevo trovato la genuinità, l’autenticità del suo capolavoro. Forse sono state le aspettative alte, fatto sta che ho anche riletto La felicità del lupo, ascoltandolo dalla sua voce in audiolibro, ma niente da fare.

Con Giù nella valle, da poco pubblicato, ho trovato un Paolo Cognetti diverso, da un certo punto di vista più maturo, focalizzato su quello che gli piace e vuole essere. L’autore, durante la presentazione del 7 novembre, fatta all’interno della libreria Spazio Sette di Roma, e a cui ho assistito con immensa emozione, ha sottolineato il fatto che da tempo voleva affrontare i suoi lati oscuri, scrivere un romanzo all’ombra, dato che tutti i suoi precedenti sono più luminosi, soprattutto perché da quando ha iniziato a vivere in montagna ha conosciuto con maggiore potenza la rabbia e la violenza, sono più brutalmente a contatto con persone diverse da me.

Ma ha imparato anche a stare da solo, a vivere la propria solitudine e a trovare la compagnia di animali e di piante; ha piantato betulle e larici nel suo giardino, il suo arboreto salvatico, come fece Mario Rigoni Stern. Volevo scrivere un romanzo mettendo in scena lo spettacolo della vita, la concatenazione tra uomo, animale e albero. In Giù nella valle troviamo tutti questi elementi.

Il romanzo si apre con la femmina di un cane che, raggiunta la maturità sessuale, ha il primo rapporto con quello che può essere un grosso cane grigio o più verosimilmente un lupo. Da questo momento, dalle aggressioni del cane lupo agli altri maschi per la conquista della femmina, li seguiremo nel loro vagabondaggio. E con loro, in un’alternanza di capitoli, conosceremo anche altri tre personaggi, questa volta umani. Luigi – un poliziotto della forestale -, Betta che si è trasferita per lui a Fontana Fredda (luogo immaginario della Valsesia), e Alfredo, fratello minore di Luigi, irrequieto e attaccabrighe, tornato in paese dopo un periodo trascorso in Canada.

Oltre alla casa lasciata dal padre, i due fratelli hanno in comune il bere senza sosta, bicchiere dopo bicchiere, di birra, di vino, di whisky, finché non sono completamente sbronzi e non crollano addormentati. L’alcol, si sa, spesso però è imprevedibile e può condurre a compiere azioni violente e irreparabili. Paolo Cognetti, a proposito di questo forte elemento presente nel romanzo, l’alcol, ha sottolineato che è stata la scelta più naturale e semplice. In montagna è tutto più semplice e leggibile, perché c’è solo l’alcol. In città ci sono anche le droghe o gli psicofarmaci che sono potenti come le droghe. In montagna no. Bisogna affrontare la solitudine e l’alcol la fa vivere meglio. Poi il bar è l’unico posto dove incontrarsi, l’alcol lega le persone e questa cosa è mostruosa.

I tre protagonisti del romanzo rappresentano tre alberi, hanno le medesimi iniziali, Luigi è il larice, duro e fragile, Alfredo è l’abete, ombroso e resistente al gelo, mentre Betta è la betulla. Il larice e l’abete sono anche i due alberi che il papà di Luigi e di Alfredo ha piantato alla loro nascita davanti casa. In merito alla betulla, Cognetti ha specificato che nella cultura russa rappresenta la donna e che simbolicamente è l’albero che porta gentilezza, caratteristica dovuta al colore bianco del fusto e dei rami, richiama l’acqua, qualcosa di cristallino che purifica. Betta nel romanzo fa proprio questo, porta gentilezza nel mondo, in questo microcosmo maschile e oscuro.

Nella nota a fine romanzo, Paolo Cognetti parla del suo amore verso l’album Nebraska di Bruce Springsteen, ne conosce ogni parola. Un album fatto solo di tre accordi, con armonica a bocca, chitarra e la voce del cantante, quasi sussurrata, a bocca chiusa come se stesse cantando nel buio della sua stanza. Nebraska è anche la gabbia di Cognetti, come lui stesso l’ha definito, volevo creare una storia su queste melodie. E io penso che ci sia riuscito benissimo. Ho ascoltato l’album più e più volte, durante la lettura e i giorni a seguire, sicuramente non è abbastanza, ma il magone di quelle note e quei sussurri era lo stesso di quelle pagine. Sono quasi sicuro che con questo romanzo, Cognetti abbia proprio scritto il suo personale Nebraska, e io ne sono stato fagocitato. Bentornato.

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