“E il giardino creò l’uomo. Un manifesto ribelle e sentimentale per filosofi giardinieri” di Jorn de Précy

Jorn de Précy nacque a Reykjavik nel 1837, figlio di un ricco commerciante. All’età di quattordici quindici anni, mentre camminava senza meta, perso nei suoi pensieri, si imbatté in un boschetto di betulle. Erano disposte in un cerchio perfetto, come se fosse stato disegnato da un compasso. Al centro del cerchio, dall’erba spuntavano ciclamini selvatici. Le betulle lo invitarono ad entrare, e quando lo fece fu pervaso da una gioia indescrivibile. Sembrava la dimora di un elfo o di un qualsiasi altro essere magico. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì, inspiegabilmente, ebbe un’illuminazione.

Si sentì come in un grembo materno e capì all’istante che la Terra era un enorme giardino.

Spinto anche dalla sua grande possibilità monetaria, iniziò a viaggiare per il Mondo e a visitare i più bei giardini. E, i più belli, li ha trovati in Italia, in Francia e in Inghilterra.

I giardini dei dintorni di Roma, Venezia e Firenze, custoditi da anziani guardiani assopiti sulle loro seggiole, possono regalare solo piacere. Ma penso soprattutto a Bomarzo, nei pressi di Viterbo. Fatto incredibile, quel meraviglioso giardino è praticamente sconosciuto; non vi è libro sui giardini d’Italia che lo menzioni. Il principe Orsini, che lo ideò nel XVI secolo, lo definiva il suo sacro bosco. Un luogo unico al mondo, come qualsiasi vero giardino.

Questo manifesto ribelle e sentimentale di Jorn de Précy ruota su un concetto fondamentale: l’uomo non dovrebbe considerarsi il proprietario della Terra, ma il suo custode.

Cosa accadrebbe se l’uomo civilizzato rinunciasse a trattare la natura come un terreno di conquista e iniziasse ad abitare la terra da giardiniere?

Jorn de Précy non limita questa sua filosofia alla semplice protezione dei bei paesaggi dagli assalti della modernità, ma la amplia implementandola con una modifica radicale del nostro rapporto con il vivente, fino a considerare l’intero pianeta come un vasto giardino. Egli immagina un’umanità finalmente tranquilla che può, se lo vuole, vivere in questo grande spazio che è la Terra, prendendosi cura della vita.

E mentre racconta questo suo “sogno” in cui ogni uomo è giardiniere e custode della Terra, tocca tanti altri punti focali, importanti, necessari per la sua realizzazione.

Si sofferma sulla perdita di spiritualità nell’uomo. E non una spiritualità che richiama alla mente cattedrali, altari e odore di incenso, ma intesa come la modalità di guardare il mondo, di interrogare la natura da vicino.

Ebbene, no: il lavoro del giardiniere non conosce interruzione tra l’operato della mano, dello spirito e del cuore! Quando rimescola sapientemente il terreno con le dita, allargando lo scavo in cui metterà a dimora una pianta, il suo spirito esplora il mistero di quella profondità accogliente, umida, formicolante di vita. Mentre diserba, e pensieri, ricordi e fantasticherie gli attraversano la mente, si interroga sulla vita e si lascia interrogare da essa. Il giardinaggio, caro lettore, non è che un dialogo ininterrotto con la terra.

E ci parla della scomparsa della poesia e della magia.

Una sorgente senza ninfe è solamente una sorgente, un albero senza driadi nient’altro che un albero e la vetta di una montagna dove non dimorano dèi semplicemente la cima di una montagna. Ai nostri occhi, il mondo non ha più magia.

I giardinieri, per Joan de Précy, sono esseri umili fin quasi all’invisibilità, sono gli ultimi dissidenti del mondo moderno, i pochissimi che osano disobbedire e vivere secondo i propri principi, non seguendo quelli imposti dalla società. E a renderli commoventi ai suoi occhi è il fatto che non ne sono neppure coscienti. I giardinieri sono dei ribelli loro malgrado.

Certamente, una volta che avrà svestito gli abiti da lavoro sporchi di terra e indossato di nuovo quelli civili, ritroverà il suo ruolo sociale e le sue maniere urbane. Ma per il momento, finché lavora al giardino, di tanto in tanto getta un’occhiata verso il mondo al di là del muro di cinta, e non lo comprende fino in fondo. Perché tutto quel chiasso e quell’agitazione? Perché quella fretta? E poi, perché correre senza tregua, sempre in cerca di Dio sa quale sollievo, quando basta abbassare lo sguardo verso la terra?

“E il giardino creò l’uomo” è un manifesto poetico, profondo, commovente, che tocca con una delicatezza avvolgente temi di vitale importanza.

Nella parte finale di questo libro, che non so se definire saggio o atto di amore verso la terra, l’autore ci conduce finalmente a visitare il suo meraviglioso giardino, in Inghilterra: Greystone.

Quando ci apre le sue porte entriamo in un sogno, in cui c’è soltanto amore totale nei confronti della natura e della diversità.

E mi sono ritrovato all’interno di un paradiso dove l’autore ha custodito come se fosse la cosa più preziosa al mondo anche un altro amore, verso una persona che è il custode, il giardiniere, insieme a lui, del suo, anzi, del loro giardino.

Questo libro, oltre ad avermi fatto immaginare, sognare, un mondo dove ogni persona si prende cura della vita, mi ha dato anche del nuovo materiale letterario da recuperare, leggere, ma soprattutto imprimere nella mia persona. Mi ha riempito il cuore di cose belle.

Post scriptum: a fine lettura c’è una nota di Marco Martella, curatore di quest’edizione che svela la vera identità di Jorne de Précy. Scoperta che mi ha inizialmente lasciato di stucco negativamente, ma che ho poi metabolizzato e mi ha dato modo di apprezzare questo testo ancora di più.

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Comments 3
  1. Ti scrivo da Ponte alle Grazie, per ringraziarti di aver parlato del libro. Credo che nella nostra produzione ci siano titoli passati e futuri di tuo interesse. Puoi mandarmi mail con i tuoi contatti e indirizzo per spedizione eventuali copie? Grazie e ciao, Matteo Columbo – ufficio stampa Ponte alle Grazie

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