“L’altro” di Thomas Tryon

Quando ero un ragazzino, attendevo l’estate con tanta felicità. Era il periodo dell’anno che preferivo, perché libero dalla scuola e dai compiti scolastici potevo dedicare le intere giornate a fantasticare, andare in bicicletta girando per il paesino senza orari che mi rispedissero a casa.

Era il periodo dell’anno in cui, insieme ai miei amici, potevo andare fin su alla ferrovia dei treni merci dove una volta avevamo trovato la carcassa di un cane morto pieno di vermi ed emanante un odore nauseabondo. Ci raccontavamo le storie dell’orrore, ci scambiavamo i “Piccoli Brividi”. Un estate, addirittura, muniti di una vecchia telecamera, abbiamo tentato di girare un cortometraggio ispirandoci al film “The Grudge” appena uscito al cinema.

Non potrò mai dimenticare quell’estate, era agosto, in cui i giornali del paesino brulicavano della notizia che un gruppo di incappucciati, in processione, camminavano lungo i binari della ferrovia seminando il terrore e lasciando tracce di riti satanici. Ci fu il coprifuoco. E noi, con i brividi e tremanti dall’emozione, rincaravamo la dose guardando “L’esorcista”, per la prima volta, e sfogliando quel libro apparso come un presagio, “Le notti di Salem”.

Quelle estati non passeranno mai, non andranno mai via, e con il senno di poi sono molto felice che ad accompagnarmi in quei giorni e notti di afa sono state storie che ancora oggi sono considerate dei classici dell’orrore, siano esse scritte in un libro o trasposte in immagini di un film.

“L’altro” di Thomas Tryon mi ha riportato a quelle estati, è un classico, e ora comprendo come sia stato possibile che mi fosse sfuggito all’epoca; nessun editore lo pubblicava più, e sono quindi grato che dopo tanti anni di assenza nelle librerie sia ritornato in questa nuova edizione. È considerato, insieme a L’Esorcista e Rosemary’s Baby, il capostipite nonché miccia per l’esplosione del genere horror negli anni Settanta. Fu un bestseller, vendendo oltre le tre milioni e mezzo di copie e, l’anno successivo alla sua pubblicazione, nel 1972, ne venne tratto un film.

Il romanzo è ambientato negli anni Trenta in una fattoria di un piccolo paese isolato, Pequod Landing, nel Connecticut. I protagonisti sono due gemelli di tredici anni, Niles e Holland Perry. L’uno il classico bravo ragazzo, l’Altro invece cupo, riservato e furtivo. Hanno da poco perso il padre a seguito di un brutto incidente domestico, e vivono quindi con la madre e la nonna. In realtà vivono abbastanza liberi da regole, perché la mamma, nonostante i mesi passino veloce, continua a vivere reclusa nella sua stanza, senza forze per affrontare la vita, ingabbiata dal dolore per la perdita del marito (o almeno è quello che il lettore percepisce).

Niles e Holland trascorrono la loro lunga estate, tra nascondigli segreti e oggetti preziosi che custodiscono con grande cura, in particolare uno, avvolto in un pezzo di stoffa e che costituisce il filo che lega stretta la trama e il segreto della storia.

L’aria del romanzo è insalubre, puzza come quel cane morto della mia adolescenza. Il silenzio minaccia qualcosa di terribile. E infatti annuncia l’inizio delle morti delle persone vicine ai due gemelli che, per lavoro, per gioco o per caso, si ritrovano a entrare nella loro fattoria.

Il lettore capisce subito che il problema è uno di loro due, perché Niles, il bravo ragazzo, percependolo, perché un gemello sa tutto dell’altro gemello, e perché talvolta presente ai fatti, vede sempre Holland pochi attimi prima delle varie e terribili morti a seguito di strani incidenti, come un’ombra, un fantasma, con il suo ghigno. E iniziamo ad averne paura.

Il racconto si dipana in due tipi di narrazione. Una, in prima persona, dal punto di vista di uno psicopatico rinchiuso in una clinica psichiatrica che in maniera cinica, osservando ossessivamente una macchia scura sul muro della sua stanza, si rivolge direttamente al lettore. Non conosciamo la sua identità, ma sappiamo che ha molto a che fare con la storia principale. La seconda voce invece è in terza persona singolare, molto vicina a Niles, completamente diversa dalla prima. È la voce dell’innocenza che narra fatti atroci.

Andando avanti con la lettura e, pian piano, srotolando la matassa, la storia acquista sempre più dettagli che modificano l’atmosfera, rendendola quasi una ghost story, una storia di fantasmi come può essere “Il giro di vite” di Henry James e “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson. Il tutto ci incasina la mente, le nostre conclusioni cadono per aprire nuove possibilità. E le possibilità che arrivano sono ancora più terribili delle nostre precedenti conclusioni. Interrompi la lettura, per guardare il vuoto, ed esclamare “Ma cosa diavolo sta accadendo?”.

Chi è l’altro? Lo psicopatico, Holland, Niles. Chi è l’altro di noi stessi?

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