“Le regine dell’abisso” di Rebecca Giggs

Quando ho compiuto trent’anni stavo per realizzare uno dei miei più grandi sogni: incontrare le balene. Mi era stato regalato un biglietto per l’Islanda, comprensivo di un’escursione in gommone per esplorare i mari al Nord dell’isola, a caccia, senza lance e arpioni, di cetacei. Avevo studiato già quali balene avrei potuto incontrare, quali con maggiore probabilità, e immaginavo una megattera saltare a pochi metri da me, nell’aria gelata. L’avrei riconosciuta dalle macchie bianche delle pinne, dai fanoni, dalle sue rughe e dalla vivacità. Avevo già anche preventivato una mia commozione, avrei versato oceani di lacrime. Purtroppo, il Covid ha portato via tanti sogni, tra cui il mio.

Mi sono innamorato delle balene da bambino, sfogliando albi illustrati, enciclopedie, guardando documentari in televisione. Immaginavo cosa si potesse provare nell’incontrarle, non su una barca, ma nuotando nel profondo blu; vederle apparire in lontananza, spuntando dal basso, prima come una macchia indefinita, poi come essere gigantesco. Sarei morto di paura, senza alcun dubbio. Quanta maestosità! Che sublime visione!

“Le regine dell’abisso” di Rebecca Giggs non è il primo saggio che ho letto sui cetacei, infatti, proprio qualche anno fa lessi il meraviglioso libro di Philip Hoare, “Leviatano, ovvero la balena”, che mi entusiasmò in una maniera mai accaduta prima, almeno non con un saggio sugli animali (che comunque sono tra le mie letture predilette). Rebecca Giggs riesce ottimamente a legare la narrazione scientifica a quella storica, nonché al suo racconto emotivo relazionato alle balene. Il libro si apre con un classico e, ahimè, terribile scenario: lo spiaggiamento di una balena. Di per sé è già un evento di grande sofferenza, ma l’autrice, giunta sul posto per soccorrerla insieme ad altri e a rimetterla in mare, ha avuto una capacità incredibile nel farci sentire le sofferenze di quella megattera partendo da descrizioni anatomiche.

Quando la balena è nell’oceano, il grasso sottocutaneo la isola e le consente di mantenere una temperatura interna costante. Fuori dall’acqua, il grasso la soffoca. “Questa balena ha il problema opposto all’ipotermia”, spiegava l’agente della forestale. Anche se noi stavamo rabbrividendo, la balena, a pochi metri di distanza, stava praticamente bruciando viva.

Il prologo continua così, con megattere che bruciano e capodogli arrivati morti sulla costa spagnola con serre intere dentro la pancia. Qui c’è un primo punto fondamentale del saggio: animali visti come inquinamento. Ammetto di essere rimasto alquanto interdetto nel leggere questa definizione, e ancora di più nel venire a conoscenza della scoperta di un beluga dell’estuario di San Lorenzo in Canada così contaminato che la sua carcassa è stata classificata come rifiuto tossico da smaltire. L’animale, però, più inquinato della Terra è, al momento, l’orca che vive nello Stretto di Puget, nello stato di Washington, lo stesso luogo in cui le stelle marine sono straziate da una malattia che induce le loro braccia a staccarsi dal corpo.

Lo scopo del libro è quello di, non soltanto istruirci scientificamente su questo magnifico animale, ma parlare di cosa significa inquinare i luoghi e anche gli esseri che li vivono, per valutare la vera estensione del mutamento ambientale da prospettive alternative alla nostra.

Quando affiorano per respirare, le balene inalano anche sostanze cancerogene aeree – come cadmio, cromo e nickel – emesse dalle raffinerie e dagli stabilimenti di cromatura del mondo. Il cromo contenuto nei polmoni delle balene franche del Nord Atlantico (a rischio estinzione) corrisponde ai livelli rinvenuti nei polmoni degli operai impiegati nella fusione dei metalli. Ogni cetaceo esistente respira ogni giorno sostanze chimiche nocive liberate nell’aria dalle attività umane. Quello che non immaginiamo è che queste sostanze chimiche ritornano a noi, spesso colpendo popolazioni che vivono in apparenti lande incontaminate. Alle donne Inuit della Groenlandia che si cibano tradizionalmente di carne e grasso di cetacei, ad esempio, è stato sconsigliato di mangiare beluga durante la gravidanza o l’allattamento. I loro tessuti mammari erano diventati un punto di concentrazione dei sottoprodotti chimici provenienti dai cetacei.

Dentro la balena, il mondo.

Sono creature magiche, misteriose, e Rebecca Giggs dipana nei vari capitoli che compongono “Le regine dell’abisso” le più incredibili storie sulle balene che sembrano giungere ai limiti del folclore, se non ci fossero dati scientifici che ne appurano, invece, la veridicità. 

Le balene hanno un fascino che va oltre la loro vita. Il fenomeno della “caduta delle balene” era un qualcosa che assolutamente non conoscevo. Non mi ero mai posto la domanda: ma le balene quando muoiono, dove finiscono? Che sprofondassero negli abissi, forse avrei potuto supporlo – col senno di poi -, ma non immaginavo che lì dove vivono pesci alieni potessero giacere i corpi di oltre seicentomila balene morte in decomposizione. In quei luoghi oscuri il corpo di una balena rappresenta quella che è per noi la primavera, una detonazione di vita, fonte di cibo per milioni di creature.

Il canto delle balene ha un capitolo tutto suo, e probabilmente ci sarei rimasto male se non fosse stato così. Fu negli anni Cinquanta che i richiami delle megattere furono registrati per la prima volta su un nastro, e fu per puro caso; ingegneri navali statunitensi erano in cerca del tipico ronzio dei sottomarini sovietici, e catturano così i canti delle balene. Il fascino del loro canto risiede nel fatto che incarnano messaggi di creature sul viale del tramonto, destinate a scomparire. Il loro è un “canto del cigno”, sono lamenti funebri.

Prima che gli oceani fossero invasi dai rumori molesti di navi grandi come città, questi erano solcati da imbarcazioni molto silenziose fatte di legno. Gli scafi fungevano da cassa di risonanza e amplificavano i suoni emessi dalle balene. I marinai associavano questi suoni alle voci mistiche di sirene e ondine (ninfe acquatiche). Da qui si elevarono a creature quasi mitologiche che si accompagnavano a esseri straordinari; immaginate i cacciatori di balene, armati di arpioni sulle loro lance, avvicinarsi all’animale mentre l’imbarcazione vibrava di suoni provenire dagli abissi.

Rebecca Giggs tocca tantissimi punti, compreso il triste capitolo sulla caccia alle balene, affascinante da un lato ma terribile dall’altro. Ci fa innamorare, per chi già non lo fosse, dei cetacei, per farci sentire ancora più forte il dolore e la drammaticità della situazione attuale. Potrei continuare a raccontare che forme avevano le balene prima di conoscerle così come sono adesso e che nei loro scheletri sono ancora presenti dei piccoli arti, prima utilizzati per camminare sulla terraferma, ma lascio che sia l’autrice a farlo, con la sua esperienza, nel debutto appassionato e poetico, “Le regine dell’abisso”.

L’oceano cantastorie, questo imperscrutabile spazio esterno da cui tornano le balene, in senso metaforico, ci incanta in virtù dei nostri stessi enigmi interiori. Molti nel corso della storia hanno considerato il mare una metafora dell’inconscio umano.

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Comments 6
  1. Bellissime le tue parole e questo libro. Sono sicura che prima o dopo quell’incontro ci sarà e te lo auguro con tutto il cuore. Volere potere!

  2. Ciao, puoi dirmi se il libro contiene illustrazioni? Perché sono indecisa se prendere il formato cartaceo o l’eBook.
    Grazie!

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