“Notre Dame de Paris” di Victor Hugo

libro notre dame de paris

Il viaggio che ho fatto a Parigi non era nei miei progetti, è stato un regalo ricevuto per il compleanno. Desideravo andarci da tanto tempo, anche se ogni volta che organizzavo un viaggio, Parigi passava in secondo piano. Eppure per anni ha rappresentato per me una vera e propria ossessione, non la città in sé, verso la quale – scioccamente! – non ho mai provato una vera fascinazione, ma a causa di una delle sue chiese. Notre Dame de Paris.

Ero un ragazzo di sedici anni, quando, come ogni sabato, presi il treno per andare alla libreria a me più vicina, al paese confinante a quello dove sono cresciuto. Era diventata una consuetudine, prendere il treno dopo pranzo, con le paghette settimanali accumulate in tasca, per andare a passeggiare tra gli scaffali di quella libreria. Sono cresciuto con i classici e con i Piccoli Brividi, gli unici volumi disponibili alla cartolibreria sotto casa, e per questo motivo quando andavo in una libreria più grande ero comunque portato a soffermarmi presso gli scaffali con libri a me familiari. Era una libreria Mondadori molto fornita, mi ha letteralmente e letterariamente cresciuto. Uno degli scaffali, il mio preferito, era stracolmo degli ormai iconici Oscar Classici Mondadori, quelli neri. Tutta la mia scorta proviene da quello scaffale, anche la copia di Notre Dame de Paris di Victor Hugo.

Sinceramente non ricordo il motivo per cui ne fui attratto, non ero amante del cartone animato Disney, ma decisi comunque di acquistarlo. Ricordo perfettamente quando iniziai a leggerlo. Fu dopo pranzo, il giorno dopo all’acquisto. Mi sdraiai sul letto, in cameretta, e lo aprii. Lessi per tre giorni di fila, il pomeriggio dopo la scuola. Duecento pagine al giorno. Non ero un asociale o un maratoneta, ero sì già abituato alla lettura, ma non avevo mai letto prima di allora un libro con così tanto patema d’animo. Forse è stato il primo libro a farmi piangere. Da allora è sempre rimasto sulla vetta dei miei libri preferiti, anche a distanza di anni. Anche dopo diciassette anni (oh, mamma!), mai l’ho smosso di lì, nonostante avessi l’atroce dubbio: “ma se lo leggessi un’altra volta, lo amerei allo stesso modo?”.

Quel libro, dopo la chiusura, iniziò a ossessionarmi, soprattutto di notte quando dormivo. Sognavo la chiesa, Notre Dame de Paris. Dall’esterno, dall’interno, a volo d’uccello, dall’alto delle torri, accanto ai gargoyle. Notti dopo notti, sempre lei come protagonista, e non è durato per poco tempo. Per anni ho sfogato il mio inconscio a Parigi dentro e fuori quella cattedrale. A regnare i miei sogni era soprattutto l’aspetto gotico, il suo lato cupo. Salivo enormi scale in pietra che conducevano alle torri, camminavo lungo le navate laterali, file di candele accese. Guardavo le vetrate, l’enorme rosone. Ammiravo Parigi dall’alto insieme a quei mostri di pietra. Mai che una volta nei sogni spuntassero i personaggi del romanzo, Quasimodo, l’arcidiacono Claude Frollo, Esmeralda. Mai nessuno. Sempre e solo la cattedrale, vuota e possente. Forse ero io Quasimodo?

cattedrale di notre dame de paris

Se possiamo usare questa immagine, dove in lui (Quasimodo) esistevano sporgenze, queste si incastravano negli angoli rientranti dell’edificio, così che egli non ne sembrasse soltanto l’abitante, ma il portato naturale. Ne aveva quasi preso la forma, si potrebbe dire, come la chiocciola prende quella della propria conchiglia. Era la sua dimora, la sua tana, il suo involucro.

Victor Hugo non abbandona mai la cattedrale. Per tutte le seicento pagine del romanzo è lì che svetta con le due torri campanarie. Anche quando il lettore si intrufola alla Corte dei Miracoli o al Palazzo di Giustizia, Notre Dame è sempre onnipresente, come una sovrana il cui potere è riversato inevitabilmente sui propri sudditi. La cattedrale descritta non è solo un edificio, ma un essere vivente, per nulla docile, al contrario, pieno di magma che ribolle. Sembra quasi un castello isolato nei Carpazi, la dimora di un mostro. Il portone principale è la bocca di quell’essere, una volta inghiottiti si è intrappolati. Ma chi è il mostro che abita Notre Dame de Paris?

Ci sono due mostri che si contendono il primato: Quasimodo e l’arcidiacono Frollo. L’uno è mostro per la sua bruttezza che distoglie gli sguardi, l’altro per il suo cuore diventato putrido. Il campanaro Quasimodo è come la bestia della fiaba La bella e la bestia, la sua bruttezza non è allineata alla bellezza del suo animo. Purtroppo, a differenza della bestia, non è vittima di un incantesimo che se spezzato allora le sue fattezze si sistemeranno. È nato così – da una zingara -, storpio, con la gobba, le gambe incrociate e corte, un occhio completamente chiuso, abbandonato e sostituito fin dai primi vagiti con un altro neonato normale. Victor Hugo lo descrive così: Era un piccolo ammasso semovente, molto angoloso, chiuso in un sacco di tela […], e una testa che ne fuoriusciva. Questa testa era una cosa alquanto deforme. Vi si vedevano soltanto una foresta di capelli rossi, un occhio, una bocca e dei denti. L’occhio piangeva, la bocca urlava, i denti sembravano solo bramosi di mordere.

Quasimodo ha qualcosa di demoniaco. Fu lasciato da bambino in fasce su un letto di legno infisso nel sagrato di Notre Dame. I curiosi che lo avevano notato, sentito urlare, ne avevano avuto subito paura. Qualcuno disse che l’enorme verruca che aveva su un occhio fosse in realtà un uovo contenente un altro diavolo come lui. Altri dissero che invece che lasciarlo su un letto di legno, avrebbero dovuto adagiarlo su una fascina in fiamme. Nessuno ebbe il coraggio di portarselo tra le braccia per tentare di far smettere quelle urla, eccetto una persona: l’arcidiacono Claude Frollo. Uno stregone che adotta un altro stregone, questo dissero di lui in quel momento. E da allora è stato recluso all’interno della cattedrale, colpevole di essere nato bastardo e deforme. Notre Dame rappresenta per lui l’uovo, il nido, la casa, la patria, l’universo. Quasimodo e la cattedrale diventano una sola identità, inseparabili. Un rettile assegnato dalla natura agli umidi e scuri lastroni su cui l’ombra dei capitelli romanici proiettavano tante forme stravaganti. La cosa che più impara ad amare della chiesa sono le campane, le uniche capaci di dare sollievo alla sua eterna malinconia, anche se lo hanno reso sordo. Il loro suono è l’unica parola che ode, l’unico suono che turba il suo universale silenzio.

Indubbiamente Claude Frollo non era un uomo comune. Fin da bambino sapeva di essere destinato alla vita ecclesiastica, fu inserito all’interno di un collegio dall’età scolastica. Claude Frollo era un ragazzino bravo, tranquillo, silenzioso, studioso, calmo, serio, non dava fastidio e non sapeva dare schiaffi e pugni. La vita però non gli ha fatto sconti e la pestilenza del 1466 gli portò via entrambi i genitori, lasciandolo solo con il fratellino appena nato. A diciannove anni si ritrovò a essere orfano, primogenito e a capo di quella famiglia composta da lui e il fratello. Jehan divenne la sua ragione di vita, Claude gli dedicò tutto se stesso, e anche la futura adozione di Quasimodo fu un investimento a favore del fratello. Un investimento in opere buone, così da garantirgli la benevolenza di Dio. Crescendo però Jehan preferì una vita dissoluta, investendo Frollo di tristezza e delusione. Tutto sommato l’arcidiacono è sempre stato un uomo abbastanza retto, qualche volta ha avuto debolezze, pensieri lussuriosi che però è riuscito in qualche modo a sfumare nel suo voto di castità. Tutto è sempre proceduto regolarmente, fin quando da una delle torri di Notre Dame non ha sentito cantare e visto ballare, in piazza, insieme a una capretta, la ragazza più bella mai vista prima di allora: Esmeralda. Da quel momento il diavolo si è impossessato dell’arcidiacono. In quel momento Claude Frollo decideva di avere Esmeralda, a tutti i costi, non per amore, ma per un puro piacere carnale, di possesso, anche se nella sua bocca quel suo volere ha la parola amore.

Esmeralda è un altro dei personaggi di Victor Hugo che fanno parte della schiera dei poveri, degli sfortunati, dei dimenticati. Come Quasimodo e Frollo ha una storia terribile alle spalle. Figlia di una prostituta fu rapita da bambina dagli zingari e da loro cresciuta. Il suo nome è Esmeralda perché al collo porta sempre una collana di pietre verdi, l’unico oggetto che possiede di sua madre e l’unico che potrà aiutarla a ritrovarla. Esmeralda è il centro intorno al quale vorticano tutti gli altri personaggi, è lei che smuove tutto, l’incantesimo del romanzo. Ogni suo gesto, fatto con amore e compassione – lei è l’anima pura – cambia per sempre le vite degli altri. L’acqua donata a Quasimodo durante la tortura in pubblica piazza, il matrimonio fittizio e di convenienza con il poeta Gringoire per salvarlo dalla condanna del re della Corte dei Miracoli, la sua danza che ha fascinato Frollo. Cadono tutti innamorati. Soltanto il capitano Phoebus evita una dipendenza da Esmeralda, anzi accade il contrario – lei se ne innamora perdutamente e ingenuamente – e se ne approfitta per soddisfare il suo libertinaggio. C’è poi un ultimo personaggio, almeno tra quelli più importanti, che invece odia a morte Esmeralda, è l’insaccata, la reclusa, imprigionata per sua scelta, per voto e preghiera perpetua, in una cella in pubblica piazza, il buco dei ratti. Raccolta così su se stessa, vestita di un sacco bruno che la avvolgeva tutta nelle larghe pieghe, i lunghi capelli grigi buttati in avanti e ricadenti sul viso e sulle gambe fino ai piedi, […] Era uno di quegli spettri metà ombra e metà luce, quali si vedono nei sogni e nell’opera straordinaria di Goya, pallidi, immobili, sinistri, […] Odia Esmeralda perché è una zingara, e gli zingari le avevano rubato sua figlia. Ogni qualvolta Esmeralda va in piazza a esibirsi, lei dalla cella le lancia le peggiori maledizioni.

Notre Dame de Paris di Victor Hugo è un romanzo immenso, brulicante di ogni palpito di vita; passione, amore, odio, lussuria, redenzione. L’autore sembra percorrere e toccare tutto lo scindibile dell’animo umano, dando tantissima rilevanza ai dimenticati della società, i reietti, quelli che arrancano per vivere, ma vivono donando ogni fibra del loro essere, perché ogni fibra del loro essere è sempre in allerta. Le luci e le ombre in Notre Dame de Paris convivono e si scontrano in continuazione, mettendosi in risalto vicendevolmente. Proprio queste due altezze diverse fanno vivere al lettore continue vertigini che sconquassano lo stomaco e il petto, e fanno affiorare la stessa lacrima sopraggiunta all’occhio buono di Quasimodo quando riceve inaspettatamente un estremo gesto d’amore. Le descrizioni di Victor Hugo sono così affascinanti ed evocative, le pagine da lui create sono così pregne di incanto, di perfezione, che si comprende fino a che vette la letteratura può arrivare. Ti ritrovi sulla torre di Notre Dame e a essere investito di troppa bellezza. È spaesante.

Il romanzo è ambientato nel Medioevo, ovviamente a Parigi, e inizia con la festa dei folli, il 6 gennaio 1482. È l’epoca in cui le donne venivano messe al rogo o impiccate per stregoneria. È l’epoca in cui per stregoneria potevano essere processati anche gli animali. Victor Hugo riprende questo aspetto cupo del Medioevo (che sento di precisare, è purtroppo considerato soltanto un periodo buio, quando invece di luce ce n’è stata tanta) e lo ripropone con immagini suggestive. In Notre Dame de Paris c’è l’intera caccia alla strega, Esmeralda, capace di affascinare e fascinare chiunque lei voglia, ma soprattutto è in grado di far compiere alla sua capra Djali, dalle corna e zampe dorate, il suo famiglio, giochi di prestigio come indicare l’ora esatta e comporre nomi da lettere sparpagliate. Giochi demoniaci. C’è la folla ignorante che prima la ama e poi la odia, colpevole dei mali del mondo. Ammetto di esserne stato estasiato. Di questo romanzo io amo soprattutto l’ambientazione e le atmosfere cupe, gotiche, così oscure da adombrare altri romanzi famosi per essere romanzi gotici, come Dracula di Bram Stoker e Il monaco di Matthew Gregory Lewis. Notre Dame de Paris di Victor Hugo unisce gli aspetti evocativi migliori di questi due romanzi.

Immaginate come io possa essermi sentito quando il 15 aprile del 2019 ho visto in televisione le immagini di Notre Dame de Paris in fiamme. Ho provato rabbia e frustrazione, ho visto i miei sogni di adolescente bruciare. Mi sono accusato di aver rimandato ogni anno il mio viaggio a Parigi. Che sciocco! Mai più avrei potuto entrare nella cattedrale, restarne ammaliato. Mai più avrei potuto salire sulle torri, mettermi accanto ai gargoyle, guardare loro e poi la città sotto di me. Quel giorno ho pensato mai più, ma spero che gli anni di ristrutturazione non saranno troppi, e che io possa andare, ancora più adulto, e magari avendo riletto per la terza volta questo romanzo, nella Cattedrale, e non vederla come questa volta da un ponte, così vicina, ma così lontana.

Notre Dame de Paris di Victor Hugo si riconferma il romanzo più bello che io abbia mai letto.

Il cuore umano non poteva contenere che una certa quantità di disperazione. Quando la spugna è imbevuta, può passarci sopra il mare senza che assorba una lacrima di più.

mister tannus e notre dame de paris
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