Un cinese non beve mai acqua fredda, anzi la detesta e la considera insalubre. Il tè è la sua bevanda preferita dalla mattina alla sera, non quello che preferiamo noi, con latte e zucchero, ma l’essenza della pianta stessa immersa nell’acqua.
Ed ecco che io e il botanico Robert Fortune ci incontriamo di nuovo; era già accaduto durante la lettura dei libri “Il botanico inglese” di Nicole C. Vosseler e “Il romanzo della rosa” di Anna Peyron. La sua figura è circondata da fascino, quei sui viaggi in Cina hanno cambiato per sempre non solo le abitudini degli occidentali mettendo fine al monopolio cinese del tè, ma anche modificato gli aspetti dei nostri giardini con l’introduzione di nuove varietà botaniche. Robert Fortune è divenuto, infatti, famoso per aver portato in occidente le rose cinesi, che hanno permesso l’ibridazione con quelle già conosciute, e da cui sono nate alcune delle varietà più belle mai create e ancora oggi in commercio.
Per fare un attimo chiarezza, soprattutto per chi non ne ha mai sentito parlare, Robert Fortune è stato un botanico scozzese, che negli anni 40 del 1800 fu mandato in Cina, il regno dei fiori e del tè, dall’Horticultural Society of London con lo scopo di raccogliere semi e piante vive di tipo decorativo o utile non ancora coltivate in Gran Bretagna e ottenere informazioni sull’agricoltura e sul giardinaggio. “La via del tè” è il resoconto, scritto dallo stesso Fortune, del suo viaggio in Cina, nel 1848, a cinque anni di distanza dal primo.
Il motivo del mio viaggio verso nord era quello di procurarmi dei germogli e degli esemplari della pianta del tè per le colonie dell’Onorevole Compagnia delle Indie Orientali, che si trovavano nelle provincie nord-occidentali dell’India. Era molto importante riuscire a procurarsele proprio da quei distretti della Cina dove venivano prodotti i tè migliori, e mi organizzai per raggiungere il mio scopo.
Il distretto che Robert Fortune vuole raggiungere è Hwuy-chow che dista più di 200 chilometri dal porto di Shangai, andando verso l’entroterra, regione proibita per gli occidentali, ma preziosa per le piante di tè verde più raffinate in commercio; qui vuole anche raccogliere informazioni sulla natura del terreno e sui modi migliori per la coltivazione. Intraprende il pericoloso viaggio insieme a due uomini cinesi conoscitori dei luoghi, pagati profumatamente, e abbandonando i suoi costumi inglesi per adottare quelli del posto, rasandosi la testa e attaccandosi un finto codino.
Anche se l’obiettivo finale del viaggio è il tè, Robert Fortune nel suo “diario” coglie l’opportunità per farci conoscere da vicino un popolo lontanissimo, capire le loro abitudini e apprezzarle, farci viaggiare – come nei migliori romanzi di avventura tanto famosi all’epoca – in terre mai prima di allora esplorate, impenetrabili e pericolose. Spesso entriamo in magnifici giardini, descritti come dei paradisi in terra, dove Fortune “scopre” delle meraviglie botaniche, come ad esempio il cipresso funerario (simile al salice piangente).
Tra le curiosità che mi hanno colpito del suo viaggio c’è sicuramente il fatto che Robert Fortune ritiene di aver raggiunto un alto grado di civiltà e buone maniere nell’aver abbandonato le abitudini europee e acquisito quelle cinesi, soprattutto nell’aver sostituito i coltelli e le forchette con le bacchette (Fortune ne fa un vero e proprio elogio considerandole l’oggetto più comodo mai creato), le bevande forti con tè e vini leggeri e i sigari di Manila con una lunga pipa di bambù.
“La via del tè” diviene così non solo un resoconto di viaggio, ma anche un testo di botanica ed etnologia, un vero documento storico e scientifico da cui attingere, che si legge con la voracità di un romanzo e l’incredulità della scoperta.
Il numero di piante stimate all’interno delle cassette era intorno a 12.838, molte altre stavano germogliando. Nonostante il loro lungo viaggio dal nord della Cina, il continuo trasbordo e i cambiamenti lungo la strada, le piante erano verdi e forti come se fossero cresciute per tutto il tempo sulle colline cinesi.
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